DEVOZIONE A SAN GIUSEPPE NELLA FAMIGLIA FRANCESCANA- La ven.Maria di Gesù di Agreda


Carissimi amici del blog del Movimento Giosefino, nell'augurarvi un Santo Natale del Signore e delle serene festività, condividiamo con voi un testo della venerabile Maria di Gesù di Agreda.
Si tratta di una mistica e religiosa spagnola del XVII secolo.

Il testo è tratto dall'opera "La mistica città di Dio", opera che fu presentata dalla monaca francescana come frutto di rivelazioni private.
Come tale essa va accolto.
Non vi dobbiamo prestare obbedienza di fede, ma può tuttavia aiutarci ad addentrarci nel mistero della nascita di Gesù, della vita di Maria e di Giuseppe, stimolandoci nella meditazione.

Buona lettura e rinnovati e sinceri auguri!






DA "LA MISTICA CITTA' DI DIO" della ven. Maria di Gesù di Agreda

Cristo nostro bene nasce da Maria vergine in Betlemme di Giudea.



Il palazzo, che il supremo Re dei re e Signore dei signori teneva pronto per alloggiare nel mondo il suo eterno Figlio incarnato per gli uomini, era la più povera ed umile grotta, dove Maria santissima e Giuseppe si ripararono, rifiutati dagli alberghi e dalla pietà naturale degli stessi uomini. 
Questo luogo era così abietto e disprezzato che, quantunque la città di Betlemme fosse così piena di forestieri da mancare locande dove alloggiare, nessuno si degnò di occuparlo né di abbassarsi fino ad esso, e certamente non era adatto se non ai maestri dell'umiltà e della povertà: Cristo nostro bene e la sua purissima Madre. 
Essendo così abbandonato, la sapienza dell'eterno Padre lo riserbò ad essi, consacrandolo con gli ornamenti della nudità, della solitudine e povertà, primo tempio della luce, casa del vero sole di giustizia, che presto sarebbe nato per i retti di cuore dalla candidissima aurora Maria, nel mezzo delle tenebre della notte, simbolo di quelle del peccato, che coprivano tutto il mondo.

Maria santissima e Giuseppe entrarono in questo alloggio preparato per loro e, per lo splendore che emanavano i diecimila angeli che li accompagnavano, poterono facilmente riconoscerlo povero e solitario come lo desideravano, con grande consolazione e lacrime di gioia. Subito i due santi pellegrini, genuflessi, lodarono il Signore e lo ringraziarono per quel beneficio, che già sapevano essere stato disposto dagli imperscrutabili giudizi dell'eterna sapienza. 
Di questo alto mistero fu più capace la divina principessa Maria, perché nel santificare con i suoi piedi quella piccola grotta, sentì una pienezza di giubilo interiore che la sublimò e vivificò tutta. Pregò il Signore che rimunerasse con liberalità gli abitanti della città, i quali, con l'averla respinta dalle loro case, le avevano procurato tanto bene quanto ne attendeva in quell'umilissimo luogo. Questo era tutto fatto di macigni naturali e rozzi senza alcuna particolarità ed era tale che gli uomini lo giudicarono adatto solo come rifugio di animali; l'eterno Padre, però, l'aveva destinato ad essere abitazione e riparo del suo stesso Figlio.

Gli spiriti angelici, che come milizia celeste custodivano la loro Regina e signora, si ordinarono in schiere, come facenti da corpo di guardia nel palazzo reale. 
Nella forma corporea ed umana che avevano assunto, si facevano vedere anche dal santo sposo Giuseppe. 
Infatti, era davvero opportuno che in quella circostanza egli godesse di questo favore, sia per alleggerire la sua pena scorgendo così dovizioso e bello quel povero alloggio con le ricchezze del cielo, sia per sollevare ed animare il suo cuore ed elevarlo ancora di più, in modo che si trovasse disposto agli eventi che il Signore preparava per quella notte in un luogo così disprezzato. 
La grande Regina ed imperatrice del cielo, che già era informata del mistero da celebrarsi, voleva pulire con le sue stesse mani quella grotta, che ben presto doveva servire da trono regale e sacro propiziatorio, affinché a lei non mancasse l'esercizio dell'umiltà e al suo Figlio unigenito quel culto che era quanto in tale occasione poteva preparargli come ornamento del suo tempio.

Il santo sposo Giuseppe, attento alla maestà della sua divina sposa, di cui ella per la sua umiltà sembrava dimenticarsi, la supplicò di non privarlo di quel compito, che in quel momento spettava a lui. 
Affrettandosi, incominciò a pulire il suolo e gli angoli della grotta, ma non per questo l'umile Signora evitò di fare lo stesso insieme con lui. Tuttavia, essendo presenti i santi angeli in forma umana visibile e - a nostro modo d'intendere - trovandosi come mortificati alla vista di così devota contesa di umiltà della loro Regina, subito con santa emulazione si misero ad aiutarla o, per meglio dire, in brevissimo spazio di tempo ripulirono e spazzarono quella grotta, riempiendola tutta di fragranza. 
San Giuseppe accese del fuoco con gli attrezzi che a tale scopo aveva portato con sé. 
E poiché il freddo era grande, vi si avvicinarono per riceverne un po' di sollievo; mangiarono il povero cibo che avevano portato con incomparabile gioia delle loro anime, sebbene la Regina del cielo e della terra, essendo prossima l'ora del suo parto divino, fosse tanto assorta e rapita nel mistero che non avrebbe mangiato niente, se non si fosse frapposta l'obbedienza al suo sposo.

Una volta terminato di mangiare, ringraziarono il Signore come facevano sempre. 
Dopo essersi trattenuti per breve tempo in tale ringraziamento e nel parlare tra loro dei misteri del Verbo incarnato, la prudentissima Vergine, che sapeva già vicina l'ora del suo felicissimo parto, pregò il suo sposo Giuseppe di ritirarsi a riposare e a dormire un poco, perché la notte era già molto avanzata. 
Il santo uomo ubbidì alla sua sposa e le chiese che ella pure facesse lo stesso; a tal fine aggiustò e preparò con i panni portati con sé una mangiatoia piuttosto larga, posta in terra per gli animali che vi si riparavano. 
Lasciando così sistemata in questa sorta di letto Maria santissima, il santo Giuseppe si ritirò in un angolo della grotta, dove cominciò a pregare. 
Subito fu visitato dallo Spirito divino e sentì una forza soavissima e straordinaria da cui fu rapito ed elevato in un'estasi in cui gli fu mostrato tutto ciò che avvenne in quella notte nella fortunata grotta, perché non riprese i sensi fino a che non lo chiamò la divina sposa. Il sonno di san Giuseppe fu più sublime e più felice di quello di Adamo nel paradiso terrestre.

La Regina delle creature, nel luogo in cui si trovava, fu nel medesimo tempo mossa da una forte chiamata dell'Altissimo con un'efficace e dolce trasformazione, che la sollevò al di sopra di tutte le cose create, e sentì nuovi effetti del potere divino; questa estasi fu infatti una delle più belle ed ammirabili della sua santissima vita. 
Immediatamente andò elevandosi sempre più con nuove luci e qualità che le diede l'Altissimo, simili a quelle che in altre occasioni ho raccontato, per giungere con esse alla visione chiara della Divinità. 
Così disposta, le fu aperto il velo e vide intuitivamente il medesimo Dio con tanta gloria e pienezza di conoscenza, che nessun intelletto angelico ed umano può spiegarlo, né adeguatamente intenderlo. 
Fu rinnovata in lei la cognizione dei misteri della divinità ed umanità santissima del suo Figlio, che in altre visioni le era stata data, e le vennero nuovamente manifestati altri segreti racchiusi in quell'archivio inesauribile del cuore di Dio. 
Io non possiedo termini sufficienti e adeguati per manifestare ciò che di questi misteri ho conosciuto con la luce divina, perché la loro abbondanza e fecondità mi rende povera di espressioni.


Dal talamo verginale, dunque, il bambino Dio nacque solo e senz'altra cosa materiale o corporea che lo accompagnasse. 
La volontà divina fu che la prima volta la beatissima Madre vedesse il suo Figlio, uomo-Dio, glorioso nel corpo, e ciò per due fini. Il primo consistette nel far sì che, alla vista di quell'oggetto divino, la prudentissima Madre concepisse l'altissima riverenza con la quale doveva trattare il suo Figlio, vero Dio e vero uomo. 
E anche se era stata prima informata di tutto ciò, il Signore dispose che con tale mezzo le venisse infusa nuova grazia, corrispondente all'esperienza che faceva della divina eccellenza del suo dolcissimo Figlio e della sua maestà e grandezza. 
Il secondo fine di questa meraviglia fu premiare la fedeltà e santità della divina Madre, affinché i suoi occhi purissimi e castissimi, che si erano chiusi a tutte le cose terrene per amore del suo Figlio santissimo, lo vedessero subito nel nascere con tanta gloria e ricevessero quel godimento in premio della loro felicità e castità.


Già era tempo che la prudentissima ed accorta Signora chiamasse il suo fedelissimo sposo san Giuseppe, il quale, come ho detto prima, era rapito in un'estasi divina, in cui conobbe per rivelazione tutti i misteri del sacro parto che in quella notte si celebrarono. 
Conveniva, tuttavia, che anche con i sensi del corpo vedesse, toccasse, venerasse e adorasse il Verbo incarnato prima di qualsiasi altro mortale, perché egli solo era fra tutti eletto come dispensatore fedele di così eccelso mistero. 
Uscì dall'estasi per volontà della sua divina sposa e, ripresi i sensi, la prima cosa che vide fu il bambino Dio nelle braccia della sua Madre vergine, appoggiato al suo sacro volto e adagiato sul suo petto. Qui lo adorò tra le lacrime con profondissima umiltà. Gli baciò i piedi con tale giubilo ed ammirazione che gli sarebbe venuta meno la vita, se questa non gli fosse stata conservata dalla forza divina, ed avrebbe perso i sensi, se in quella circostanza non gli fosse stato necessario farne uso. 
Dopo che il santo Giuseppe ebbe adorato il bambino, la prudentissima Madre chiese licenza al suo medesimo Figlio di sedersi e lo avvolse in fasce e pannicelli, che il suo sposo le porgeva con incomparabile riverenza, devozione e delicatezza. 
Così fasciato, la stessa Madre divina lo depose nella mangiatoia, dopo aver posto un po' di paglia e di fieno su una pietra per adagiarlo nel primo letto che Dio fatto uomo ebbe sulla terra al di fuori delle braccia di sua madre. Subito da quelle campagne venne con somma prontezza, per volontà divina, un bue. 
Entrato nella grotta si unì all'asinello che la medesima Regina aveva portato. 
Ella comandò loro di adorare, con la riverenza di cui erano capaci, il loro Creatore e di riconoscerlo tale. 
Gli umili animali obbedirono al comando della loro Signora e si prostrarono davanti al bambino, lo riscaldarono col proprio fiato e gli prestarono l'ossequio negato dagli uomini. 
Così, Dio fatto uomo fu avvolto in panni e posto nella mangiatoia, fra gli animali, adempiendosi miracolosamente la profezia che dice: Il bue conosce il proprietario e l'asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende.



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