«Una seconda parola segna l’itinerario di San Giuseppe e della vocazione: servizio.
Dai Vangeli emerge come egli visse in tutto per gli altri e mai per se stesso. Il Popolo santo di Dio lo chiama castissimo sposo, svelando con ciò la sua capacità di amare senza trattenere nulla per sé. Liberando l’amore da ogni possesso, si aprì infatti a un servizio ancora più fecondo: la sua cura amorevole ha attraversato le generazioni, la sua custodia premurosa lo ha reso patrono della Chiesa.
È anche patrono della buona morte, lui che ha saputo incarnare il senso oblativo della vita. Il suo servizio e i suoi sacrifici sono stati possibili, però, solo perché sostenuti da un amore più grande: "Ogni vera vocazione nasce dal dono di sé, che è la maturazione del semplice sacrificio. Anche nel sacerdozio e nella vita consacrata viene chiesto questo tipo di maturità. Lì dove una vocazione, matrimoniale, celibataria o verginale, non giunge alla maturazione del dono di sé fermandosi solo alla logica del sacrificio, allora invece di farsi segno della bellezza e della gioia dell’amore rischia di esprimere infelicità, tristezza e frustrazione" (ibid., 7).
Il servizio, espressione concreta del dono di sé, non fu per San Giuseppe solo un alto ideale, ma divenne regola di vita quotidiana. Egli si diede da fare per trovare e adeguare un alloggio dove far nascere Gesù; si prodigò per difenderlo dalla furia di Erode organizzando un tempestivo viaggio in Egitto; fu lesto nel tornare a Gerusalemme alla ricerca di Gesù smarrito; mantenne la famiglia lavorando, anche in terra straniera. Si adattò, insomma, alle varie circostanze con l’atteggiamento di chi non si perde d’animo se la vita non va come vuole: con la disponibilità di chi vive per servire. Con questo spirito Giuseppe accolse i numerosi e spesso imprevisti viaggi della vita: da Nazaret a Betlemme per il censimento, poi in Egitto e ancora a Nazaret, e ogni anno a Gerusalemme, ben disposto ogni volta a venire incontro a circostanze nuove, senza lamentarsi di quel che capitava, pronto a dare una mano per aggiustare le situazioni. Si può dire che sia stato la mano protesa del Padre celeste verso il suo Figlio in terra. Non può dunque che essere modello per tutte le vocazioni, che a questo sono chiamate: a essere le mani operose del Padre per i suoi figli e le sue figlie».
Dai Vangeli emerge come egli visse in tutto per gli altri e mai per se stesso. Il Popolo santo di Dio lo chiama castissimo sposo, svelando con ciò la sua capacità di amare senza trattenere nulla per sé. Liberando l’amore da ogni possesso, si aprì infatti a un servizio ancora più fecondo: la sua cura amorevole ha attraversato le generazioni, la sua custodia premurosa lo ha reso patrono della Chiesa.
È anche patrono della buona morte, lui che ha saputo incarnare il senso oblativo della vita. Il suo servizio e i suoi sacrifici sono stati possibili, però, solo perché sostenuti da un amore più grande: "Ogni vera vocazione nasce dal dono di sé, che è la maturazione del semplice sacrificio. Anche nel sacerdozio e nella vita consacrata viene chiesto questo tipo di maturità. Lì dove una vocazione, matrimoniale, celibataria o verginale, non giunge alla maturazione del dono di sé fermandosi solo alla logica del sacrificio, allora invece di farsi segno della bellezza e della gioia dell’amore rischia di esprimere infelicità, tristezza e frustrazione" (ibid., 7).
Il servizio, espressione concreta del dono di sé, non fu per San Giuseppe solo un alto ideale, ma divenne regola di vita quotidiana. Egli si diede da fare per trovare e adeguare un alloggio dove far nascere Gesù; si prodigò per difenderlo dalla furia di Erode organizzando un tempestivo viaggio in Egitto; fu lesto nel tornare a Gerusalemme alla ricerca di Gesù smarrito; mantenne la famiglia lavorando, anche in terra straniera. Si adattò, insomma, alle varie circostanze con l’atteggiamento di chi non si perde d’animo se la vita non va come vuole: con la disponibilità di chi vive per servire. Con questo spirito Giuseppe accolse i numerosi e spesso imprevisti viaggi della vita: da Nazaret a Betlemme per il censimento, poi in Egitto e ancora a Nazaret, e ogni anno a Gerusalemme, ben disposto ogni volta a venire incontro a circostanze nuove, senza lamentarsi di quel che capitava, pronto a dare una mano per aggiustare le situazioni. Si può dire che sia stato la mano protesa del Padre celeste verso il suo Figlio in terra. Non può dunque che essere modello per tutte le vocazioni, che a questo sono chiamate: a essere le mani operose del Padre per i suoi figli e le sue figlie».
(Papa Francesco, Messaggio per la 58a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni)
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Preghiamo san Giuseppe perché ci faccia uscire dalle logiche degli egoismi, che spesso ci impediscono di vedere, con gli occhi del cuore, le tante situazioni attorno a noi nelle quali possiamo esprimere come servizio la nostra vocazione di cristiani e la vocazione particolare di ognuno di noi.
San Giuseppe, prega per noi!
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