Ad una settimana dalla beatificazione di papa Paolo VI, ritorniamo a postare alcuni suoi interventi magisteriali, dedicati alla figura di san Giuseppe.
Il brano di oggi è parte dell'omelia pronunciata il 19 marzo 1968.
Il Papa, meditando sulla figura di Giuseppe, ce ne illustra le qualità: umiltà, fiducia nel seguire il progetto di Dio, docilità nel lasciarsi guidare da Lui, desiderio di compiere alla perfezione il grane compito affidatogli.
L'invito a noi rivolto è quello di imitaro, nel saper discernere i segni del volere divino e nell'attuarlo, affidandoci oggi alla protezione del Santo Patriarca, che è protettore della Santa Chiesa.
Possa san Giuseppe benedire quanti si mettono alla sequela Christi, prendendolo a modello e guida nell'ascolto e nell'attuazione umile della Buona Novella!
STRALCI DALL'OMELIA DI PAOLO VI
in occasione della festività di san Giuseppe (19 marzo 1968)
Questa elettissima figura ci appare al termine del periodo preparatorio della
Redenzione e all’inizio della nuova èra: nel punto focale della storia: il più
solenne, decisivo, ricco di grandi cose e di alti misteri.
LA REDENZIONE SI INIZIA NELLA PIÙ PROFONDA UMILTÀ
San Giuseppe ci si presenta nelle sembianze più inattese.
Avremmo potuto
supporre in lui un uomo potente, in atto di aprire la strada al Cristo arrivato
nel mondo; o forse un profeta, un sapiente, un uomo di attività sacerdotali per
accogliere il Figlio di Dio entrato nella generazione umana e nella
conversazione nostra. Invece si tratta di quanto di più comune, modesto, umile
si possa immaginare.
È bene che noi consideriamo il singolare aspetto della venuta di Cristo sulla
terra. Egli ha disposto che il quadro privato, personale, per tale avvenimento,
fosse di estrema semplicità.
Giuseppe doveva dare al Signore, diremo, il suo stato civile, cioè la sua
inserzione nella società.
E qui ancora un altro pensiero. Siccome Giuseppe
apparteneva alla discendenza di Davide, si poteva supporre di trovarsi di fronte
a chi avesse consuetudine con il trono, o emergesse nel fragore di qualche
avvenimento guerresco, oppure nel dramma d’una contesa politica.
Siamo, invece,
sulle soglie d’una miserrima bottega artigiana di Nazareth.
Ecco Giuseppe, il
quale appartiene, sì, alla progenie di Davide, ma senza che da ciò derivi
un titolo o motivo di gloria, bensì, si direbbe, un contrasto, per cui si trova
livellato alla statura di tutti gli altri, senza rinomanza e senza storia.
Non solo: ma pur nella sua qualità di capo della famiglia umana in cui Gesù si è
degnato vivere, nessun particolare il Vangelo ci ha dato di lui.
Un uomo
silenzioso, povero, ligio al dovere, pur con la sua regale ascendenza. Era
giusto, questo l’unico attributo con cui lo indica il Vangelo: ma è
sufficiente per darci il quadro sociale scelto da nostro Signore per Sé.
Potremmo quindi ignorare questa figura, non soffermarci dinanzi ad essa?
No,
affatto: poiché non capiremmo, in tal caso, la dottrina insegnata dal Divino
Maestro: la Buona Novella sin dalla prima sua forma caratteristica, quella
d’essere annunciata ai poveri, agli umili, a quanti hanno bisogno di essere
consolati e redenti.
Perciò il Vangelo delle Beatitudini comincia con questo
introduttore, chiamato Giuseppe. Ci troviamo di fronte a un quadro incantevole,
e che ciascuno di noi, se fosse un artista, potrebbe ideare solo in maniera
inadeguata.
Ma ecco: proprio Gesù ci presenta questo suo introduttore, questo
suo custode e padre putativo, nelle forme le più umane, le meno solenni, quelle
a tutti accessibili.
SAPER ASCOLTARE ED ESEGUIRE I PRECETTI DEL SIGNORE
Nondimeno, c’è uno speciale aspetto che merita di essere osservato e compreso.
Questa sommessa vita, che si intreccia con quella del Cristo nascente e con
quella beatissima della Vergine, ha qualche cosa di caratteristico, di molto
bello, di misterioso.
Ricordiamo il brano di San Matteo: tre volte, nel Vangelo, si parla
di colloqui d’un Angelo con Giuseppe nel sonno.
Che cosa vuol dire? Significa
che Giuseppe era guidato, consigliato nell’intimo dal messaggero celeste.
Aveva
un dettato della volontà di Dio che si anteponeva alle sue azioni: e quindi il
suo comportamento ordinario era mosso da un arcano dialogo che indicava il da
farsi: Giuseppe non temere; fa’ questo; parti; ritorna!
Che cosa allora scorgiamo nel nostro caro e modesto personaggio? Vediamo una
stupenda docilità, una prontezza eccezionale d’obbedienza ed esecuzione.
Egli
non discute, non esita, non adduce diritti od aspirazioni. Lancia se stesso
nell’ossequio alla parola a lui detta; sa che la sua vita si svolgerà come un
dramma, che però si trasfigura ad un livello di purezza e sublimità
straordinarie: ben al di sopra d’ogni attesa o calcolo umano. Giuseppe accetta
il suo compito, perché gli è stato detto: «Non temere di prendere Maria quale
tua sposa, poiché quel che è nato in lei è opera dello Spirito Santo».
I DOVERI DEL PROPRIO STATO E LE IMPRESE DI PERFEZIONE
E Giuseppe obbedisce. Più tardi gli sarà ingiunto: occorre partire, giacché il
neonato Salvatore è in pericolo. Ed egli affronta un lungo viaggio,
attraversando deserti infocati, senza mezzi e senza conoscenze, esule in paese
straniero e pagano; sempre ligio e pronto alla voce del Signore che, in seguito,
gli ordinerà di tornare.
Appena rientrato a Nazareth, vi ricompone la vita consueta, di riservato
artigiano.
Suo è l’ufficio di «educare» il Messia al lavoro, alle esperienze
della vita. Lo custodirà e avrà, nientemeno, la sublime prerogativa di essere
lui a guidare, dirigere, assistere il Redentore del mondo. E Gesù «erat
subditus illis»: obbediva a Giuseppe ed a Maria!
La caratteristica adesione di San Giuseppe alla volontà di Dio è l’esempio sul
quale dobbiamo oggi meditare.
Intendiamo, quindi, anzitutto riflettere che i grandi disegni di Dio, le
provvide imprese che il Signore propone ai destini umani possono coesistere,
adagiarsi sopra le condizioni più comuni della vita. Nessuno è escluso dal
compiere, e a perfezione, il divino beneplacito.
Anzi, ciascuno dovrebbe essere
così attento alle voci del Cielo da porsi il quesito: sono io chiamato? In
parole più ovvie: qual è la volontà di Dio sulla mia esistenza? Come devo
dirigere l’impiego dei miei giorni, delle mie forze, dei miei talenti, per
essere in corrispondenza con le disposizioni del Signore?
Sappiamo che il far coincidere la nostra volontà capricciosa, indocile, spesso
errante, talvolta perfino ribelle; far coincidere questa piccola, ma pur sublime
volontà e libertà con il volere di Dio, in una parola, il «fiat voluntas tua»,
è il segreto della grande vita.
È l’innestare se stessi sopra i pensieri del
Signore ed entrare nei piani della sua onniveggenza e misericordia, ed anche
della sua magnanimità.
Se vogliamo essere veramente in Dio e partecipare al
Regno dei Cieli, questo punto di raccordo fra la volontà nostra e quella di Dio
deve essere assolutamente studiato, specie negli anni, nei giorni, nei momenti
in cui la nostra vita sceglie il suo stato, la sua direttiva, la sua mèta.
Ci si
deve convincere, allora, che una voce dal Cielo - interna o esterna, mediante
alcune circostanze o la parola di qualche maestro - viene a farci conoscere
l’interpretazione giusta ed elevata, che ognuno è obbligato a dare alla propria
esistenza. Nessuna vita è banale, meschina, trascurabile, dimenticata. Per il
fatto stesso che respiriamo e ci moviamo nel mondo, siamo dei predestinati a
qualche cosa di grande: al Regno di Dio, ai suoi inviti, alla conversazione,
alla convivenza e sublimazione con Lui, sino a diventare «consortes divinae
naturae».
LA PERFETTA ARMONIA TRA VOLONTÀ DIVINA E LIBERTÀ UMANA
Come comportarsi per raggiungere così meraviglioso traguardo?
Ce l’insegna
Giuseppe, con il suo fedele e costante ascolto dell’Onnipotente.
Nelle cognizioni umane continuo è il progresso. Si diventa capaci ed abili a
leggere nel creato, a fare calcoli i più complicati, ad acquisire innumerevoli
scoperte: ma raramente affiora l’insegnamento sul come intuire e cogliere la
volontà di Dio nei nostri confronti; i criteri fondamentali, almeno, con cui la
legge dell’Altissimo si pronuncia circa la nostra esistenza. Orbene, tutto
quanto è necessario, obbligato e immutabile in noi ci induce a riconoscere ed
affermare: qui è la volontà di Dio.
L’uno sarà infermo, l’altro povero, altri
ancora si troverà nella tribolazione, in condizioni difficili. Allora si curva
la fronte e si esclama in maniera convinta: tutto è disposto dal Signore! E di
qui si avvia un reale colloquio con Lui. In più, c’è il possesso individuale
della libertà.
Chi sceglie da sé, deve essere in grado di esprimere
personalmente le cose migliori.
Ecco un altro aspetto della volontà di Dio. Il
Signore desidera da noi che non siamo gente dimentica, aberrante, insensibile.
Egli dispone che ognuno abbia una riserva di generosità nella propria coscienza,
il desiderio delle cose grandi, difficili, anche, e sublimi. Possiamo nutrire
tale desiderio? Lo dobbiamo: indirizzando, perciò, la nostra vita verso le più
nobili mete, e ponendoci in tal modo sul cammino della completa rispondenza al
Signore: fiduciosi, arditi, pronti ad affrontare il rischio delle grandi scelte.
Di conseguenza, lo stato in cui ciascuno viene a trovarsi mediante la fusione di
circostanze, e intenti onesti con la volontà di Dio, accolta da quella umana, è
cosa di immenso valore. Dunque, i doveri del proprio stato sono stabiliti dal
manifestarsi della disposizione divina: chi bene li compie dà una grandezza
incomparabile all’intera sua attività.
In ciò rivediamo l’esempio datoci da Giuseppe: da lui apprendiamo la ricerca
illuminata, forte, generosa, della volontà del Signore sopra la nostra vita.
OLTRE L'ESEMPIO, LA PROVVIDA INTERCESSIONE
Si arriva, ora, a considerare un secondo benefico motivo di riflessione. Siccome
tutto quanto noi pensiamo di grande, di buono, di bello, supera in ogni caso la
nostra possibilità di esecuzione, ecco manifestarsi il bisogno di un aiuto,
oltreché dell’esempio.
Giuseppe ci insegna non solo la fedeltà al paradigma della vita, fissato da Dio
per i nostri passi, ma è altresì un elettissimo protettore per noi.
Qui entriamo
nel mistico campo del Regno di Dio. Giuseppe è stato il custode, l’economo,
l’educatore, il capo della Famiglia in cui il Figlio di Dio ha voluto vivere
sulla terra. È stato, in una parola, il protettore di Gesù. E la Chiesa, nella
sua sapienza, ha concluso: se è stato il protettore del corpo, della vita fisica
e storica di Cristo, in Cielo Giuseppe sarà certamente il protettore del Corpo
Mistico di Cristo: cioè della Chiesa.
Avviciniamoci anche noi, con devozione filiale, come gente di casa, alla porta
dell’umile bottega di Nazareth e ciascuno preghi Giuseppe: dammi una mano, un
sostegno; proteggi anche me. Non c’è una vita che non sia insidiata da molti
pericoli, da tentazioni, debolezze, mancanze. Giuseppe, silenzioso e buono,
fedele, mite, forte, invitto ci insegna come dobbiamo fare; e certamente un
soccorso egli largisce con squisita bontà.
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