Continua
la nostra riflessione sulla "paternità" di Giuseppe con alcuni brani di padre Tarcisio Stramare. Siamo arrivati alla terza parte.
Buona lettura!
- terza parte -
(Da Tarcisio Stramare, "Giuseppe lo chiamò Gesù", Portalupi editore, 2001, pp.100-102)
Chiamato da Dio a fare da padre a Gesù, Giuseppe ha assolto responsabilmente tale servizio, esercitando nella Santa Famiglia la sua autorità in modo veramente esemplare, tanto da meritare da Pio XI il titolo di "padre della grande carità".
Ciò significa che Giuseppe ha avuto verso Dio un amore sconfinato e che, insieme a Maria, ha esercitato la carità nel suo più alto grado, perché praticata non solo verso l'immagine di Dio, ossia il prossimo, ma verso Dio stesso nella persona del Verbo incarnato.
Se la carità che Dio ha riversato nei nostri cuori finisce troppo spesso con l'inquinarsi nel suo itinerario tra gli uomini, prima di ritornare alla sua sorgente, ciò non potè accadere per san Giuseppe, come già Pio IX e Pio XI fanno osservare interpretando in chiave giusepppina il racconto del giudizio finale.
Dopo aver messo da una parte i buoni e dall'altra i cattivi, Gesù dirà ai buoni: "Venite, benedetti dal Padre mio, perché ebbi fame e mi deste da mangiare...".
Tutti, allora, rimanendo perplessi e meravigliati, esclameranno: "quando mai ti abbiamo visto affamato....assetato...?", e cercheranno di identificare questa presenza di Gesù.
Ebbene, in quella generale meraviglia ci sarà uno solo che non replicherà niente, uno solo che considererà vere quelle parole e acconsentirà: "E' vero, Signore, è tutto vero. Ti ho dato da mangiare, ti ho dissetato, ti ho vestito...".
La beatitudine che nei vangelo distingue i discepoli di Gesù, perchè "a voi è dato conoscere i misteri del regno, agli altri, invece, non è dato" e, ancora, perché "molti profeti e giusti hanno desiderato vedere quello che voi vedete e non lo videro, ascoltare quello che voi ascoltate e non l'udirono", e perciò "beati i vostri occhi perché vedono e le vostre orecchie perché ascoltano", ebbene, questa beatitudine appartiene a san Giuseppe in modo particolare.
Se già Giovanni, gli apostoli e i discepoli sono pieni di gioia per "quello che abbiamo udito, che abbiamo veduto con i nostri occhi, che abbbiamo contemplato e le nostre mani hanno toccato del Verbo della vita", quale sarà stata la gioia di Giuseppe nel singolare adempimento del suo ufficio di padre verso Gesù neonato, bambino, adolescente, giovane e adulto?
Giuseppe non solo poté vedere Gesù e ascoltarlo, bensì, come san Bernardo scrive:
"Il Signore ha trovato Giuseppe secondo il suo cuore e gli ha confidato con piena sicurezza il più misterioso segreto del suo cuore.
A lui ha svelato l'oscurità e i segreti della sua sapienza... Ciò che numerosi re e progeti desideravano ascoltare e non udirono, fu concesso a lui, Giuseppe, che non solamente lo vide e lo udì, ma lo portò, lo guidò nei suoi passi, lo abbracciò, lo baciò, lo nutrì e vegliò su di lui".
L'amore di Giuseppe per Gesù è stato, senza reticenze e senza riserve, un amore tradotto in generosità, sacrificio, servizio, dono di tutto il proprio essere; un amore che solo in quello di Maria trova il modello e il limite.
L'amore di Giusepe è stato il contrappeso dell'indifferenza e del rifiuto riservato dagli uomini a Gesù, perché volle nascere povero e umile.
L'attualità della devozione a san Giuseppe si traduce, dunque, in un invito ad amare Gesù con tutto l'affetto del cuore, ma soprattutto con il servizio incondizionato alla volontà di Dio, che per ciascuno viene indicata dai doveri del proprio stato".
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