Continua la nostra riflessione sulla "paternità" di Giuseppe...eccovi la seconda parte di uno scritto di padre Tarcisio Stramare.
Buona lettura!
- seconda parte -
(Da Tarcisio Stramare, "Giuseppe lo chiamò Gesù", Portalupi editore, 2001, pp.98-100)
Paolo VI mette in evidenza la carità di Giuseppe nel fatto che egli seppe amare il divino Bambino con l'offerta della propria vita: "La vita di Giuseppe non ebbe altro senso e ragione che quella del servizio del Bambino, cui era affidata la Redenzione.
Egli mise a disposizione dei disegni di Dio la sua libertà, la sua legittima vocazione umana, la sua felicità coniugale, accettando della famiglia la condizione, la responsabilità e il peso, e rinunciando per un incomparabile virgineo amore al naturale amore coniugale che la costituisce e la alimenta per offrire così con sacrificio totale tutta la sua assistenza alle imponderabili esigenze della sorprendente venuta del Messia".
[...] Da Giuseppe Dio ha chiesto tutto, incondizionatamente.
E Giuseppe, religioso ante litteram, ha risposto con una dedizione che non teme confronti, facendosi seguace di Gesù con amore di padre.
Egli si è messo effettivamente al servizio di Gesù con un sacrificio totale, facendo di sé un olocausto alla volontà di Dio, assumendosi della famiglia tutti gli impegni e le responsabilità e rinunciando alle più legittime aspirazioni umane.
Giuseppe è divenuto in tal modo il tipo ideale del vangelo, al quale Gesù nei suoi discorsi in parabole farà spesso allusione.
E' Giuseppe colui che ha scoperto il regno di Dio e ha lasciato ogni cosa per possederlo.
E' Giuseppe il protagonista della parabola del tesoro nascosto, colui che vende tutto quello che ha e lo compra.
E' ancora Giuseppe il commerciante di perle, il quale, scopertane una veramente preziosa, vende tutte le perle che possiede per comprarla.
Non tutti comprendono che per Gesù bisogna lasciare ogni cosa: tale decisione esige e suppone, oltre la grazia della vocazione, un apprezzamento che porti a mettere Gesù al di sopra di ogni bene, così da sacrificare tutto per ottenerne il possesso.
Giuseppe è stato il primo a riconoscere il regno di Dio presente in Gesù e a lasciare per esso ogni cosa.
Paolo VI sottolinea che Giuseppe "ha fatto della sua vita un servizio, un sacrificio al mistero dell'Incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta; ha usato dell'autorità legale, che a lui spettava sulla Santa Famiglia, per farle totale dono di sé, della sua vita, del suo lavoro".
Il concetto di autorità, opportunamente illuminato dal Concilio Vaticano II come "servizio", consistente appunto nel dono di sé e del proprio lavoro agli altri secondo la volontà di Dio, aveva già avuto un silenzioso precursore ed esecutore in san Giuseppe, il quale aveva "convertito la sua umana vocazione all'amore domestico nella sovrumana oblazione di sé, del suo cuore e di ogni sua capacità, all'amore posto al servizio del Messia germinato nella sua casa".
Egli merità, perciò, a pieni voti, il titolo evangelico di "servo buono e fedele".
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