GIUSEPPE, UNA PATERNITA' NELLA VERGINITÀ - di Domenico Marafioti S.J. - terza parte -




Prosegue la pubblicazione di un articolo dedicato a San Giuseppe, edito nel 2009 sulla rivista dei Gesuiti "Il Gesù Nuovo". 
Qui trovate la seconda parte. 


GIUSEPPE, UNA PATERNITA' NELLA VERGINITÀ (terza parte)
di Domenico Marafioti S.I. 

Seguiamo il racconto dei vangeli. Luca dice che l'angelo Gabriele fu mandato da Dio «a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe» (Lc 1,27); l'evangelista Matteo conferma la stessa cosa dicendo che Maria era «promessa sposa di Giuseppe» (Mt 1,18). Le cose devono essere andate in maniera molto semplice: siamo a Nazaret, Giuseppe è ormai cresciuto, e come tutti i giovani suoi coetanei vuole farsi una famiglia. Tra le tante ragazze del paese una l'attira in particolare per la sua bellezza e serietà, Maria. La chiede in sposa al padre o al tutore (il Vangelo non ci dice se il padre era vivo), ottiene l'accordo, forse comincia a pagare la dote come allora si faceva in molti posti, e attende di poterla portare a casa dopo un anno di fidanzamento, per cominciare la convivenza coniugale. Maria doveva conoscere Giuseppe, perché Nazaret era un paese piccolo e non era difficile avere notizie gli uni degli altri; anche lei deve essere stata d'accordo per il fidanzamento, perché sapeva che Giuseppe era un ragazzo serio e laborioso. Durante l'anno di attesa e di preparazione, i fidanzati potevano frequentarsi per conoscersi meglio e volersi bene, perché i genitori non avrebbero concluso il matrimonio se i due non erano contenti l'uno dell'altro. In questi incontri Giuseppe scopre il mondo interiore di Maria, e lei stessa conosce la profondità spirituale di Giuseppe. Lui doveva già essere un contemplativo. Il vangelo ci presenta la sua vita immersa nel silenzio; di lui non ci vengono riferite parole, ma fatti.
Questo amore al silenzio non deve essere sbocciato all'improvviso, ma deve essere stato coltivato da tempo. Il silenzio è segno di interiorità, di attenzione ai sentimenti profondi, ai valori spirituali e alla preghiera.
È normale che Giuseppe, incontrando Maria, parlasse non solo della famiglia che avrebbero costruito insieme, ma anche dei valori spirituali in cui credeva, e delle cose che gli stavano a cuore. Così più d'una volta i loro discorsi si fermavano sulla speranza d'Israele, sui testi della Scrittura, che ascoltavano nella sinagoga, e sul primato di Dio. E Maria, che già era «piena di grazia» (Le 1,28), di che cosa poteva parlare se non dei suoi desideri spirituali e della sua comprensione del mistero di Dio? In realtà noi non possiamo intuire a quale livello di profondità era giunta la conoscenza di Maria sul mistero del mondo, della storia, del cuore umano, della missione del popolo d'Israele, di se stessa e di Dio. L'intelligenza umana è rallentata e appesantita dal peccato; ma come doveva penetrare e capire i problemi, gli eventi, la Scrittura e il destino dell' umanità un' intelligenza non ferita dal peccato originale e capace di distinguere subito la verità dall'errore? Questo supera la nostra immaginazione, perché non abbiamo nessuna esperienza di come funziona una mente umana libera dal peccato. 
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