Sulla festa di San Giuseppe lavoratore prevale, liturgicamente parlando, la VI Domenica del tempo di Pasqua. Il blog vuole tuttavia proporre ai suoi lettori una riflessione sul rapporto tra Gesù-Giuseppe e il lavoro.
Buona lettura!
A SCUOLA DAL FALEGNAME
Tarcisio Stramare
(tratto da Giuseppe lo chiamò Gesù. Matteo 1,25, Portalupi, 2001, pp.185-188)
Nell'enciclica Laborem exercens Giovanni Paolo II trattando del lavoro umano ne colloca il punto di riferimento nella persona stessa di Gesù, usando l'impegnativa espressione di «Vangelo del lavoro». Non è questa una semplice esaltazione di genere oratorio, se si considera che il lavoro, avendo fatto parte dell'«esistenza» di Gesù, fa conseguentemente parte della rivelazione cristiana. La testimonianza della predicazione apostolica, espressa negli evangeli, sottolinea «il fatto che colui, il quale essendo Dio è divenuto simile a noi in tutto, dedicò la maggior parte degli anni della sua vita sulla terra al lavoro manuale, presso un banco di carpentiere». Una teologia che si limitasse a vedere in questa circostanza solamente un'anodina dimostrazione della realtà dell'Incarnazione, sarebbe molto superficiale. Attraverso l'Incarnazione, infatti, Gesù non si è servito delle realtà terrene solo allo scopo di manifestarsi, ma si è unito a esse per santificarle con la sua umanità. Ebbene, poiché «il lavoro costituisce una fondamentale dimensione dell'esistenza umana sulla terra», ne segue che Gesù ha scelto non a caso proprio questa dimensione per qualificare il suo stato sociale.
Il piano dell'Incarnazione si incontra in questo punto con Giuseppe, voluto da DIo come presentatore al mondo del proprio Figlio fatto uomo.
Giuseppe, a motivo del suo vero matrimonio con Maria, dalla quale nasce Gesù, e della propria discendenza davidica, trasmette a Gesù il titolo di «figlio di Davide». Ma Gesù, oltre al titolo davidico, indispensabile per il suo riconoscimento di Messia, riceve da Giuseppe, come qualunque altro figlio, anche quella dimensione umana concreta che lo caratterizza, ossia «lo stato civile, la categoria sociale, la condizione economica, l'esperienza professionale, l'ambiente familiare, l'edicazione umana» come ebbe a dire Paolo Vi.
Scegliendo di essere considerato civilmente figlio di Giuseppe, Gesù ha potuto ereditare il titolo regale di «figlio di Davide», ma contemporaneamente ne ha assunto anche quello professionale, ossia la qualifica di «figlio del falegname». Gesù non si è vergognato di rivestire la sua eccelsa dignità con l'umile condizione dell'operaio.
Pur potendo esigere i titoli più elevati, Gesù ha scelto per sé il titolo più comune, più largamente condiviso dalla condizione umana, ossia quella di operaio.
È avvenuto così che quella stessa material che al momento della creazione era uscita docilmente dal nulla a un comando della Parola divina, si è incontrata, nella bottega di Nazaret, con la medesima Parola, fatta ora carne e diventata a sua volta docile alle leggi della natura e agli ordini di chi gli è maestro nel lavoro, ossia Giuseppe.
L'onnipotente artefice dell'universo ha veramente «lavorato con mani d'uomo», come ricorda la Costituzione Gaudium et Spes, santificando direttamente il lavoro umano.
Giuseppe è stato nella provvidenza divina il necessario strumento di tale Redenzione attraverso una missione che egli non solo ha esercitato accanto a Gesù, ma addirittura sopra Gesù.
Cristo non ha redento solamente delle anime disincarnate, ma ha redento l'uomo nella sua totalità, anima e corpo. L'attività umana non è stata da lui esclusa dalla salvezza, perché la sua solidarietà con l'uomo è stata totale: in tutto simile a noi fuorché nel peccato. Ebbene, nessuno tra gli uomini, dopo maria, è stato tanto vicino alle mani, alla mente, alla volontà, al cuore di Gesù, quanto san Giuseppe.
Riproponendo l'esempio di san Giuseppe ai lavoratori, Pio XII sottolineava appunto che egli era stato il santo nella cui vita era penetrato maggiormente lo spirito del vangelo. Se questo spirito, infatti, affluisce dal cuore dell'Uomo-Dio in tutti gli uomini, «è pur certo che nessun lavoratore ne fu mai tanto perfettamente e profondamente penetrato quanto il padre putativo di Gesù, che visse con lui nella più stretta intimità e comunanza di famiglia e di lavoro». Di qui l'invito dello stesso Pontefice rivolto ai lavoratori: «Se voi volete essere vicini a Cristo, "Ite ad Joseph", andate da san Giuseppe! L'umile artigiano di Nazaret non solo impersona presso Dio e la santa Chiesa la dignità del lavoratore del braccio, ma è anche sempre il provvido custode vostro e delle vostre famiglie».
Questo umile artigiano di Nazaret che nel nascondimento ha con il suo duro lavoro consentito a Gesù «di crescere robusto e pieno di sapienza», continua ancora a stagliarsi gigante nella storia dell'umanità per insegnare a tutti che non è la differenza dell'attività a definire la grandezza dell'uomo, ma, al contrario, che tocca all'uomo rendere grande ciò che fa, attraverso la nobiltà dell'animo e l'esercizio di autentiche virtù.
Il piano dell'Incarnazione si incontra in questo punto con Giuseppe, voluto da DIo come presentatore al mondo del proprio Figlio fatto uomo.
Giuseppe, a motivo del suo vero matrimonio con Maria, dalla quale nasce Gesù, e della propria discendenza davidica, trasmette a Gesù il titolo di «figlio di Davide». Ma Gesù, oltre al titolo davidico, indispensabile per il suo riconoscimento di Messia, riceve da Giuseppe, come qualunque altro figlio, anche quella dimensione umana concreta che lo caratterizza, ossia «lo stato civile, la categoria sociale, la condizione economica, l'esperienza professionale, l'ambiente familiare, l'edicazione umana» come ebbe a dire Paolo Vi.
Scegliendo di essere considerato civilmente figlio di Giuseppe, Gesù ha potuto ereditare il titolo regale di «figlio di Davide», ma contemporaneamente ne ha assunto anche quello professionale, ossia la qualifica di «figlio del falegname». Gesù non si è vergognato di rivestire la sua eccelsa dignità con l'umile condizione dell'operaio.
Pur potendo esigere i titoli più elevati, Gesù ha scelto per sé il titolo più comune, più largamente condiviso dalla condizione umana, ossia quella di operaio.
È avvenuto così che quella stessa material che al momento della creazione era uscita docilmente dal nulla a un comando della Parola divina, si è incontrata, nella bottega di Nazaret, con la medesima Parola, fatta ora carne e diventata a sua volta docile alle leggi della natura e agli ordini di chi gli è maestro nel lavoro, ossia Giuseppe.
L'onnipotente artefice dell'universo ha veramente «lavorato con mani d'uomo», come ricorda la Costituzione Gaudium et Spes, santificando direttamente il lavoro umano.
Giuseppe è stato nella provvidenza divina il necessario strumento di tale Redenzione attraverso una missione che egli non solo ha esercitato accanto a Gesù, ma addirittura sopra Gesù.
Cristo non ha redento solamente delle anime disincarnate, ma ha redento l'uomo nella sua totalità, anima e corpo. L'attività umana non è stata da lui esclusa dalla salvezza, perché la sua solidarietà con l'uomo è stata totale: in tutto simile a noi fuorché nel peccato. Ebbene, nessuno tra gli uomini, dopo maria, è stato tanto vicino alle mani, alla mente, alla volontà, al cuore di Gesù, quanto san Giuseppe.
Riproponendo l'esempio di san Giuseppe ai lavoratori, Pio XII sottolineava appunto che egli era stato il santo nella cui vita era penetrato maggiormente lo spirito del vangelo. Se questo spirito, infatti, affluisce dal cuore dell'Uomo-Dio in tutti gli uomini, «è pur certo che nessun lavoratore ne fu mai tanto perfettamente e profondamente penetrato quanto il padre putativo di Gesù, che visse con lui nella più stretta intimità e comunanza di famiglia e di lavoro». Di qui l'invito dello stesso Pontefice rivolto ai lavoratori: «Se voi volete essere vicini a Cristo, "Ite ad Joseph", andate da san Giuseppe! L'umile artigiano di Nazaret non solo impersona presso Dio e la santa Chiesa la dignità del lavoratore del braccio, ma è anche sempre il provvido custode vostro e delle vostre famiglie».
Questo umile artigiano di Nazaret che nel nascondimento ha con il suo duro lavoro consentito a Gesù «di crescere robusto e pieno di sapienza», continua ancora a stagliarsi gigante nella storia dell'umanità per insegnare a tutti che non è la differenza dell'attività a definire la grandezza dell'uomo, ma, al contrario, che tocca all'uomo rendere grande ciò che fa, attraverso la nobiltà dell'animo e l'esercizio di autentiche virtù.
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