SAN GIUSEPPE NELL'ARTE




  LE TRAPPOLE PER TOPI SUL TAVOLO DI SAN GIUSEPPE
Lo sguardo indagatore di Robert Campin
(Maria Gloria Riva, La Santa Crociata in onore di San Giuseppe, 6/2014, p. 30)


Entriamo nella bottega di San Giuseppe grazie allo sguardo indagatore di Robert Campin, artista fiammingo del XV secolo. La bottega è ritratta nello sportello di destra del suo Trittico di Mérode. Il desco appare così inclinato, nella sua prospettiva, da dare l'impressione di volersi rovesciare. Siamo così costretti a guardare gli strumenti da lavoro di san Giuseppe: tenaglie, martello, chiodi. Sono chiari riferimenti alla croce, supplizio sopra il quale morirà quel Figlio che sta per essergli dato. 
Nel pannello centrale del Trittico, infatti, è raffigurata l'Annunciazione della Vergine. 
Sul desco di Giuseppe, però, c'è un oggetto, che pur riconoscendolo, fatichiamo a comprenderne il senso. Si tratta di una trappola per topi. A ben vedere ci sono due trappole: una in via di costruzione e una seconda, in funzione, sul davanzale alla finestra. Il senso di un simbolo tanto bizzarro lo spiega Sant'Agostino (discorso 256): «Il diavolo ha esultato quando Cristo è morto, ma per la morte di Cristo, il diavolo è stato vinto, come se avesse ingoiato l'esca nella trappola per topi. La croce del Signore era una trappola per il diavolo, l'esca con cui è stato catturato era la morte del Signore». Ecco, dunque, l'ignaro Giuseppe fabbricare quell'elemento che sarà per l'uomo simbolo di liberazione: dov'è o morte la tua vittoria? - ripete instancabilmente l'Apostolo - Cristo ci ha liberato. Anche Lorenzo Lotto, in una delle sue natività, colloca la propria firma sopra una trappola per topi. Il topo, del resto, per la sua facilità riproduttiva e la rapidità del suo agire, è da sempre simbolo di lussuria e disonestà e, perciò stesso, simbolo del maligno.
Fra il ricchissimo bestiario di Jeronimus Bosch, il topo compare sovente a significare l'ingannevole audacia del male. Nel giardino delle Delizie, un trittico che affronta proprio il tema del male, insinuatosi attraverso i progenitori nell'intera creazione, Bosh dipinge nel pannello centrale un curioso particolare. Un uomo, confinato dentro la bacca di una pianta carnivora (simbolo di lussuria), si trova a faccia a faccia, in un muto dialogo, con un topo: è l'uomo che si abbandona alla sue pulsioni sperimentando dentro di sé la presenza del Maligno. Tuttavia, mentre l'uomo si lascia ingannare dal tentatore, Cristo gioca il male sul suo stesso terreno. Il diavolo, infatti, ingannato dall'umanità del corpo di Cristo, addenta la preda, ma il veleno della vita, nascosto nella divinità di Cristo, lo ucciderà.
Così l'uomo medievale che ammiarava la placida bottega di san Giuseppe imparava a comprendere che la morte è stata vinta e che la penitenza quaresimale ci rende più consapevoli del prezzo di tale riscatto. Che sia proprio san Giuseppe a fabbricare quella trappola la quale, simbolicamente, sconfiggerà il maligno, è significativo. Il maligno non è onnipotente, è una creatura, dunque non siamo noi a doverlo temere, ma lui deve temere noi, per i quali Cristo ha dato tutto se stesso.
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