SAN GIUSEPPE (di Antonio Maria Sicari, Ocd) - Sesta parte

«Non sapevate che io devo restare nella casa del Padre mio?» (Lc 2,49).

E tuttavia la volontà del Padre celeste, il suo Disegno di Redenzione restava nascosto. Maria e Giuseppe tutto potevano immaginare – anche la propria sofferenza – ma non la sofferenza di quel Figlio di Dio: il rifiuto e la croce che lo aspettavano. Anch’essi dovevano compiere il pellegrinaggio della fede, e almeno intuire i tre giorni che occorre attraversare prima della Risurrezione.
Accadde quando Gesù compì dodici anni, avvicinandosi all’età in cui ogni fanciullo ebreo cominciava a prender parte al sacrificio pasquale. Come ogni anno la famigliola si recò a Gerusalemme per celebrare la Pasqua, ed è bello e realistico immaginare anche Gesù adolescente che, in vista della città Santa, canta assieme agli altri pellegrini, secondo l’uso, il bellissimo Salmo che dice: “Che gioia quando mi dissero: / Andiamo alla casa del Signore! / Ed ora i nostri occhi si fermano / alle tue porte, Gerusalemme!” (Sal 121).
Ci furono dapprima i festeggiamenti che durarono otto giorni, poi una giornata di viaggio e la “perdita del fanciullo” e tre giorni di ricerca affannosa. Certo non avevano dimenticato che a Gerusalemme regnava ancora Archelao, crudele più di suo padre Erode, e che il ragazzo non era del tutto al sicuro. “Figlio, perché hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo angosciati”, gli disse Maria quando lo ritrovarono negli atri del Tempio, mentre ascoltava e interrogava i dottori della Legge, suscitando il loro stupore. Poi Gesù «tornò con loro a Nazareth, dove rimase loro sottomesso», ma Maria e Giuseppe conservavano – come una verità troppo grande e bruciante – la risposta sacra e misteriosa che egli aveva detto loro: “Non sapevate che io devo stare nella casa del Padre mio?”.
Fu questa la parola definitiva che Maria e Giuseppe custodirono nel cuore: la parola che accompagnò Giuseppe fino al termine della sua vita (forse nei primi anni del ministero pubblico di Gesù) e che accompagnò Maria fin sul Calvario e poi nel Cenacolo. Erano tutti figli: tutti incamminati alla casa del Padre, preceduti da Gesù stesso. Già da allora Maria e Giuseppe sapevano quella verità che, in seguito, l’Apostolo più intraprendente del loro Gesù avrebbe formulato così: «Quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò suo Figlio, nato da Donna… , per darci l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito di suo Figlio che grida “Abbà, Padre” (Gal 4,4-6)». Quel giorno nel tempio, Gesù dodicenne, che aveva imparato a chiamare Abbà il suo Giuseppe, gli aveva ricordato che anche lui, il papà, doveva rivolgersi a Dio con la stessa invocazione.


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