(Rosanna Virgili, La Santa Crociata in onore di San Giuseppe - gennaio 2021, pp. 16-17)
Come avviene nell'esperienza umana universale, una persona si accorge di essere "figlio" man mano che matura e diventa grande.
Negli anni dell'infanzia i genitori sono un tutt'uno con chi sta formando e sviluppando il proprio corpo e la propria mente. E solo nell'età che oggi chiamiamo adolescenza si presenta la consapevolezza di essere, da una parte, fortemente intimi, dall'altra di essere anche altro rispetto a chi ci ha messo al mondo. Solo allora si cominciamo a "vedere" i volti effettivi dei genitori mentre si avvertono le differenze e le distanze che ci separano da loro.
Solo quando si diventa adulti si taglia davvero il metaforico cordone ombelicale e ci si pone dinanzi a chi ci ha generati. Così accade nella Bibbia intorno ai patriarchi: le loro storie le leggiamo all'inizio, nell'ordine canonico dei libri, ma, in verità, furono scritte alla fine, dopo le tante vicissitudini che Israele aveva attraversato e vissuto, secondo i racconti già elaborati e raccolti.
Quando Israele ha bisogno di rinascere, di ricominciare, dopo innumerevoli sconfitte e traversie, ha bisogno di Abramo, di un: "padre del popolo".
Per riscattare la propria vita, Israele ha bisogno di un DNA che gliela permetta e gliela conceda. Senza paternità non può esserci identità, nome, terra, futuro. Saremmo brandelli di carne smarrita, spezzata, inconsapevole della vita stessa. Murati dentro un presente senza tempo, né senso né speranza; senza diritti né dignità umana, sociale, morale, spirituale. Senza il nome di un padre gli Israeliti non avrebbero uno spazio sulle cartine geografiche del mondo, un segno di legittimità sulle anagrafi, non avrebbero prati, città e giardini che consentano loro il respiro e il lavoro in libertà, fecondità, felicità.
Abramo è il proto-patriarca: colui in cui i figli e le figlie, i nipoti e pronipoti avranno in eredità la vita. Tutto ciò ci permette di comprendere non solo le ragioni della Bibbia, ma anche la grande attualità dei patriarchi.
Per riscattare la propria vita, Israele ha bisogno di un DNA che gliela permetta e gliela conceda. Senza paternità non può esserci identità, nome, terra, futuro. Saremmo brandelli di carne smarrita, spezzata, inconsapevole della vita stessa. Murati dentro un presente senza tempo, né senso né speranza; senza diritti né dignità umana, sociale, morale, spirituale. Senza il nome di un padre gli Israeliti non avrebbero uno spazio sulle cartine geografiche del mondo, un segno di legittimità sulle anagrafi, non avrebbero prati, città e giardini che consentano loro il respiro e il lavoro in libertà, fecondità, felicità.
Abramo è il proto-patriarca: colui in cui i figli e le figlie, i nipoti e pronipoti avranno in eredità la vita. Tutto ciò ci permette di comprendere non solo le ragioni della Bibbia, ma anche la grande attualità dei patriarchi.
Il primo patriarca
Nel libro dell'inizio, che noi chiamiamo Genesi, ad Abramo vengono riservate molte attenzioni. Dopo Adamo, padre di tutti gli umani, e dopo Noè, padre delle tre razze che abitavano il mondo secondo gli antichi agiografi, emerge la figura di Abramo come capo del filo di una discendenza particolare: quella che si svilupperà specialmente per mezzo di uno dei suoi figli, Isacco. Si tratta della genealogia del popolo di Israele.
Tanto importante è il Patriarca che di lui si parla si dalla giovinezza, quand'era ancora un novello sposo. Un giovane migrante, per volere di Dio.
Tanto importante è il Patriarca che di lui si parla si dalla giovinezza, quand'era ancora un novello sposo. Un giovane migrante, per volere di Dio.
Lo vediamo subito in viaggio con la moglie Sara verso quella che potremmo paragonare all'America degli inizi del Novecento, per tanti italiani.
Il paese dei sogni e dei rischi, dell'entusiasmo e dell'ignoto, era, per Abramo, la terra dei Cananei dove egli arrivò dopo tante avventure a piantare la tenda e a scavare pozzi; a lavorare sodo facendo amicizia e alleanza con i popoli che ivi abitavano.
Fu così che quel ragazzo venuto da lontano ("dalla fine del mondo" direbbe papa Francesco) non solo maturò in un uomo, ma diventò grande e ricco perché Dio era con lui in tutto quello che faceva (cf Gn 21,22) ancorché restasse per sempre uno straniero e un ospite nella terra di approdo.
Lo sentiremo dire, molto più tardi, anche al re David, discendente di Abramo e "patriarca" di Gesù di Nazareth: «Tutto proviene da Te: noi dopo averlo ricevuto dalla Tua mano, te l'abbiamo ridato. Noi siamo forestieri davanti a Te e ospiti come tutti i nostri padri» (1 Cr 14.15).
Lo sentiremo dire, molto più tardi, anche al re David, discendente di Abramo e "patriarca" di Gesù di Nazareth: «Tutto proviene da Te: noi dopo averlo ricevuto dalla Tua mano, te l'abbiamo ridato. Noi siamo forestieri davanti a Te e ospiti come tutti i nostri padri» (1 Cr 14.15).
Un primo, grande insegnamento per tutti i figli: avere un padre non vuole dire avere diritti di privilegio, di possesso, di arroganti primazie; avere un "patriarca" non vuol dire poter pretendere esclusive, vantare statuti elitari in virtù dei quali stabilire discriminazioni tra figli e figliastri, ma ricordare e riconoscere che la vita è dono, gratuità, frutto dell'ospitalità del Signore della terra.
Avere un patriarca significa avere un corpo che lega le nostre mani a quelle di Dio, mani intrecciate a quelle di tutti i fratelli del mondo.
Proprio per questo nelle storie bibliche Dio punisce ogni volta che un padre accorda una preferenza a un figli su un altro o su altri.
Avere un patriarca significa avere un corpo che lega le nostre mani a quelle di Dio, mani intrecciate a quelle di tutti i fratelli del mondo.
Proprio per questo nelle storie bibliche Dio punisce ogni volta che un padre accorda una preferenza a un figli su un altro o su altri.
Un uomo non deve mai fare preferenze tra i suoi figli: per una tunica di lino fine che Giacobbe confezionò a suo figlio Giuseppe, i nostri padri dovettero risiedere in Egitto per quattrocentotrenta anni!
Così dice la tradizione ebraica a proposito della storia di Giuseppe e i suoi fratelli.
Così dice la tradizione ebraica a proposito della storia di Giuseppe e i suoi fratelli.
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