(da "La Santa Crociata in onore di San Giuseppe", febbraio 2021, pp. 22-23)
Don Giacomo Alberione, il santo fondatore della grande Famiglia Paolina, scrisse una brevissima e affettuosa preghiera alla Madonna – Cara e tenera mia Madre Maria... – che si conclude con l'invocazione: "Gesù, Giuseppe e Maria, datemi la vostra santa benedizione". Ai tre santi nomi io aggiungo anche l'angelo custode, e mi pare giusto e bello anche questo. Più passano gli anni e leggo libri, più mi ritrovo ad apprezzare e far mie alcune piccole formule di preghiera che profumano di devota e irrinunciabile tradizione. Anche san Giuseppe rientra in questa devozione del tutto fondata sulla Parola di Dio e gli avvenimenti della salvezza culminati in Gesù. Egli fa parte pienamente della storia e del mistero di Gesù.
Per questo bisogna dire grazie a papa Francesco che – smentendo, se ce ne fosse bisogno, una certa immagine di lui quasi fosse un innovatore poco devoto – sa dimostrare sul piano personale e dottrinale un'autentica pietà cristiana. Lo dimostra anche la lettera Patris Corde (8 dicembre 2020) alla quale è collegato il documento vaticano, pubblicato nella stessa data, sulle speciali indulgenze per l'anno 2021, che egli ha voluto dedicato a san Giuseppe per celebrare il centocinquantesimo anniversario della sua proclamazione a Patrono della Chiesa universale.
In questa Lettera Francesco precisa un dato importante: "Dopo Maria, Madre di Dio, nessun santo occupa tanto spazio nel Magistero pontificio quanto Giuseppe, suo sposo. I miei Predecessori hanno approfondito il messaggio racchiuso nei pochi dati tramandati dai Vangeli per evidenziare maggiormente il suo ruolo centrale nella storia della salvezza...".
Al riguardo ricorda il beato Pio IX, che volle san Giuseppe Patrono della Chiesa, Pio XII che lo dichiarò "Patrono dei lavoratori" (1 maggio 1955), e san Giovanni Paolo che scrisse l'Esortazione apostolica Redemptoris custos (15 agosto 1989).
Francesco ricorda pure che il Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 1014, invoca san Giuseppe come "patrono della buona morte". Anche questi piccoli cenni dimostrano la continuità del magistero di papa Francesco con quello dei papi che lo hanno preceduto. Ma, a proposito di tale magistero sul santo, si potrebbero ricordare discorsi e interventi di altri pontefici anche tra l'800 e il '900. Penso ad esempio a san Paolo VI e a papa Benedetto.
Ritengo in ogni modo una grazia poter ancora riflettere su questo aggiornato insegnamento pontificio dietro le tracce del documento di Francesco. Anche la vita tanto silenziosa quanto operosa di Giuseppe – tanto "in ombra", quanto preziosa, della quale i Vangeli non riferiscono una parola – è in se stessa una eloquentissima e autentica "Parola di Dio" che ci illumina su come pensare, scegliere, amare, soffrire, gioire, sperare e svolgere la nostra missione nel mondo al seguito del Signore Gesù insieme a Maria e a tutta la Chiesa. Ci insegna a vivere prima che a parlare: a vivere in un totale e totalmente sereno e prontissimo "sì" a Dio.
Grandissimo santo che parla vivendo.
"Con cuore di padre: così Giuseppe ha amato Gesù, chiamato in tutti e quattro i Vangeli il figlio di Giuseppe. I due evangelisti che hanno posto in rilievo la sua figura, Matteo e Luca, raccontano poco, ma a sufficienza per far capire che tipo di padre egli fosse e la missione affidatagli dalla Provvidenza".
Dopo altre iniziali riflessioni il papa dedica diverse pagine a illustrare brevemente ed efficacemente i diversi aspetti delle personalità del Santo. Sono sette. Eccoli: Padre amato, Padre nella tenerezza, Padre nell'obbedienza, Padre dal coraggio creativo, Padre lavoratore, Padre nell'ombra.
Titoli tutti umili e tutti gloriosi, e del tutto esemplari per tutti noi.
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