MEDITAZIONI SU SAN GIUSEPPE: uno scritto di Don Dolindo Ruotolo. Prima parte


Don Dolindo Ruotolo (1882-1970) è stato un sacerdote napoletano,  terziario dell'ordine francescano.                        Attualmente ne è in corso la  causa di beatificazione.                                                                Dotato di molti carismi utilizzati a beneficio delle anime e definito da Padre Pio da Pietrelcina come "sacerdote santo", fu fondatore dell'Apostolato Stampa, che beneficiando dell'apporto materiale dei figli spirituali, ha cercato di diffondere buone letture, in particolar modo gli scritti "ispirati" del sacerdote.                                                         Fra i vari testi vergati da Don Dolindo non mancano alcune meditazioni su San Giuseppe.

Ve ne proponiamo una veramente molto bella, tratta da una lettera scritta alle sue figlie spirituali e datata 1921.


In essa, il sacerdote scrive come se a parlare fosse lo stesso Santo, in una sorta di "finzione letteraria" che rende il testo molto più scorrevole e atto a far meditare il lettore.

Nella prima parte della sua lettera viene affrontato il tema del "dolore" morale, di quello che conduce ad un martirio "interiore": è un passo importantissimo, anche se appare come "prefazione" alle riflessioni su San Giuseppe-uomo dei dolori come Maria fu donna dei dolori-.
Senza questo preambolo non sarebbe possibile comprendere la parte successiva, in cui più esplicitamente si affronta il dolore del Santo Patriarca, unito alla gioia dell'Amore divino che riceveva dal suo Gesù!



Pubblicheremo il testo "a puntate", augurandoci che possa essere spunto di meditazione per noi tutti.



                                                          



IL DOLORE: SPIRITUALIZZAZIONE DI TUTTO L'ESSERE UMANO

Sono io, Giuseppe, Sposo purissimo di Maria Immacolata e vostro Custode



[...] Volendovi fare meditare la grandezza che Dio formò in me devo farvi riflettere prima di tutto al mio dolore, perché questo è sempre l'indice vero della grandezza di un'anima e della grandezza di  un'opera divina.
Il dolore è la testimonianza più bella della fedeltà di un'anima; è l'atto d'amore più puro e disinteressato; è l'umiltà vera, perché è l'annientamento interiore, è la mansuetudine è la carità, è la sintesi di ogni virtù.

Il dolore è, quindi, il vero termometro della grandezza di un'anima e per questo Gesù fu l'uomo dei dolori, Maria fu l'Addolorata per eccellenza.

Il dolore può essere fisico e morale.
Il dolore fisico è piuttosto espiazione, è la via per l'elevazione di un'anima, è la forza potente che libera l'anima dalla schiavitù del corpo e della carne, dai legami del mondo e delle creature.
Il dolore morale, invece, oltre ad essere espiazione, è il volo dell'anima in Dio, è la forza che la eleva sopra e stesa, è il frutto di un'attività superiore.

Per intendere questo, voi dovete riflettere che la grazia eleva la creatura al di sopra di ogni perfezione naturale, ne forma proprio un'altra creatura, pur lasciandola nella condizione naturale dell vita; il dolore, quindi, è come la spiritualizzazione di tutto l'essere umano.
[...] Quando amate Dio nel dolore, lo amate col suo amore stesso; quando lo amate godendo e rimanendo soddisfatte del vostro amore, lo amate col vostro amore, ed è poca cosa, perché, in realtà, voi attingete da Lui ma non gli date nulla.
Certe anime grandi non fanno fatto nulla in apparenza per Dio, ma hanno sofferto, e questa è stata la loro più grande attività.

Quando Maria era ai piedi della croce soffriva, spasimava.
Quel dolore la univa tutta all'immolazione di Gesù e la faceva Corredentrice del genere umano.
Se  avesse potuto soccorrere Gesù, se avesse potuto schiodarlo, risanare le sue piaghe, confortarlo, Ella avrebbe fatto molto meno di quel che fece soffrendo.
Se l'avesse aiutato, lo avrebbe attratto in se stessa: soffrendo, invece, Ella fu attratta in Lui, e divenne più bella, più grande.

Il dolore ha tutto il segreto suo nell'unione alla volontà di Dio.
Esso sforza l'anima a vivere di una volontà superiore, ad avere un pensiero superiore, e per questo la eleva.
In Cielo soltanto non vi è più dolore, perché la vita dell'anima è tutta nella volontà di Dio; essa è rafforzata dal lume della gloria, vede svelatamente la sublime armonia di Dio, riposa in Lui senza sforzo, gli è proporzionata dai meriti avuti nella vita presente, dall'unione avuta con Gesù Cristo, dall'ultima purificazione avuta nel Purgatorio.
Questo è  dunque il mistero del dolore di un'anima che è chiamata da Dio in una vita più alta; questa è la ragione per la quale le opere di Dio sono più o meno grandi, a seconda della maggiore o minore croce che portano!

Il martire è il più grande fra i Santi, ma il martire è anche il più immolato, perché è la creatura che rinuncia tutta se stessa a Dio.
Il martirio è la grazia più grande, perché è il mezzo per rendere l'anima in un momento unita alla volontà di Dio.
Il martirio ha tutto il suo valore in questa unione alla volontà di Dio e ai dolori di Gesù.
Anche se una creatura è martirizzata a sua insaputa, essendo il martirio una grazia grande di Dio, la sua morte è il riepilogo di una vita di interiore martirio, ovvero è il pieno possesso che Dio prende di quella creatura.
Il grande valore del martirio sta proprio in questa testimonianza che rende il corpo di carne come se fosse in un momento un'anima, uno spirito, una voce, un cuore che pulsa e che ama.
Non è il tiranno che forma il martire, ma è l'amore, è la fusione totale alla volontà di Dio.



FINE DELLA PRIMA PARTE
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