PRESENZA DI GIUSEPPE LUNGO I SECOLI DELLA CHIESA - Quinta parte

 
(da Pregare, n. 3, marzo 2006, Edizioni Ocd, pp. 15-17)



L'esplosione del Barocco

Nei tempi vicini al Concilio di Trento l'attenzione delle élites si fuse con le predilezioni popolari.
E fu precisamente santa Teresa d'Avila il detonatore in un ambiente in parte ereditato ed in maggior parte accelerato da lei in maniera sorprendente, sia per le sue calorose esortazioni ed esperienze riflesse nel cap. VI del libro della Vita sia per la coerenza di dedicare i suoi monasteri a Giuseppe (che non n'aveva nessuno fino a quello di Avila), per la dedizione del suo Ordine al santo, considerandolo quasi confondatore.
Là dove giunsero i libri di Teresa ed i suoi conventi di frati e di monache (e giunsero molto lontano) si poteva contare su centri d'irradiazione "giuseppina" incondizionata, con feste in cui i predicatori più celebri – come Bossuet – scioglievano lodi al santo.
Libri molto ben scritto – come la tanto edita Josefina del carmelitano scalzo Gracián o il fortunato ed immenso poema di Giuseppe di Valdivielso (anch'esso chiamato Josefina), solo per citare alcuni esempi dell'incontenibile letteratura che apparve in Spagna nel sec. XVII –; sermoni; devozioni nuove come quella dei "Sette dolori";  sicurezza di protezione dinanzi alla morte, che i cristiani desideravano fosse come quella di Giuseppe; confraternite associative o devozionali o assistenziali... portavano il nome di san Giuseppe; reliquie (naturalmente non autentiche) come quelle dell'anello dello sposalizio, il suo bastone, la sua cappa (che si veneravano sia a Perugia sia a Parigi); tutto, e molto di più, testimonia che Giuseppe, dopo il Concilio di Trento, aveva rotto i silenzi delle epoche anteriori e occupava il primo posto nelle predilezioni spirituali di quasi tutti.
Segno di quest'incontenibile esplosione può essere l'iconografia in cui appare un Giuseppe da solo, o accompagnato dal bambino Gesù, slanciato, forte e giovane. Episcopati, province, domini territoriali, persino nazioni intere lo proclamano loro protettore. È ciò che successe con l'enorme monarchia spagnola, ai tempi di Carlo II, in un patronato effimero che non poté affermarsi (come non aveva potuto prima quello di santa Teresa) per le resistenze precedenti dal Cpaitolo di Santiago di Compostella. In altri posti non esistettero tali difficoltà, e così san Giuseppe era patrono della Nuova Spagna dal 1525; del Belgio più tardi; dell'Impero Germanico che dipendeva dagli Arburgo; del Canada francese; della Baviera; di Genova; delle missioni cinesi...
Il patronato non era solo territoriale; era anche personale, e molti seguirono l'esempio di santa Teresa nello scegliere san Giuseppe come avvocato e protettore. Di fatto c'è una certa corrispondenza tra la propaganda teresiana e la frequenza con cui in certi luoghi (dalla Francia alla Polonia) si va imponendo ai bambini, nel Battesimo, il nome di Giuseppe, con tutte le conseguenze inerenti. Appena presente fino allora, dall'inizio del '600 s'inizia a chiamare Giuseppe o Giuseppina un numero sempre maggiore di bambini, fino a giungere a ciò che fu corrente in Castiglia (la patria di Teresa): alla fine del secolo, più del 12% aveva questo nome, una proporzione che non diminuirà fino al 1964. 
Contrastava con il fervore del clero (in tutti i suoi settori) e del popolo, l'attitudine di Roma. San Giuseppe, infatti, nonostante tutto, non disponeva di una festa universale, anche se lo si celebrava in forma privata, in quasi tutti gli Ordini religiosi e in diocesi speciali. Finché un papa, Gregorio X, riuscì, nel 1621, ad averla vinta sulle resistenze della Congregazione dei Riti, e a stabilire che la festa di san Giuseppe si celebrasse in tutta la Chiesa, persino come precetto. Nonostante la Messa e l'Ufficio divino fossero liturgicamente poveri e il precetto presto cessasse d'essere universale, non si pone in dubbio l'importanza di questo primo intervento pontificio. 
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