(da Giuseppe lo chiamò Gesù, di padre Tarcisio Stramare, Portalupi editore, 2001, pp. 172-175)
Come misurare il riverbero di grazie che derivò in san GIuseppe dalla sua prolungata comunanza di vita e di lavoro con Gesù? Giuseppe, per l'amore paterno che portava a Gesù, fu spinto a consumare tutta la sua vita per lui e per Maria, e a condividerne i fatti della nascita, della circoncisione, della presentazione al tempio, della fuga in Egitto, della vita nascosta a Nazareth; come non dovette condividere i benefici del mistero in essi contenuto, ossia partecipare all'amore di Gesù, che ne era la sorgente? Cercando nelle pagine del vangelo la luce per inoltrarsi nel santuario del cuore di Gesù, Pio XII non poté non ricordare l'amore di Gesù per Giuseppe: "Palpitava altresì di amore il cuore del Salvatore, sempre in perfetta armonia con gli affetti della sua volontà umana e con il suo amore divino, quando egli intesseva celestiali colloqui con la sua dolcissima Madre, nella casetta di Nazaret, e col suo padre putativo Giuseppe, cui obbediva prestandosi come fedele collaboratore nel faticoso mestiere del falegname".
È difficile per noi comprendere l'ampiezza e la profondità della conoscenza concessa a san Giuseppe nella contemplazione della Verità stessa, che abitava nella sua casa. Sta di fatto che la beatitudine, concessa dal Padre ai discepoli di Gesù, di conoscere i misteri del regno dei cieli, non poté essere rifiutata da Dio a colui che ne faceva in terra le veci, come giustamente affermò san Berbardo: "Il Signore ha trovato Giuseppe secondo il suo cuore e gli ha confidato con piena sicurezza il più misterioso e sacro segreto del suo cuore. A lui ha svelato le oscurità e i segreti della sua sapienza, accordandogli di conoscere il mistero sconosciuto a tutti i principi di questo mondo".
A coloro i quali obiettano che san Giuseppe non poté essere un contemplativo, perché distratto da tante occupazioni e preoccupazioni materiali, san Tommaso vede nell'amore la cerniera che assicura l'unione tra la vita contemplativa e quella attiva: "È manifesto che se uno è chiamato dalla vita contemplativa a quella attiva a motivo di qualche necessità della vita presente, ciò non avviene come diminuzione".
L'amore di Giuseppe per Gesù era certamente puro amore di contemplazione della Verità divina, che si irradiava attraverso lo strumento congiunto dell'umanità di Gesù, e contemporaneamente era altrettanto puro amore di servizio, richiesto dalla conservazione e sviluppo di quella stessa umanità che era congiunta alla divinità.
La singolarità della posizione di san Giuseppe riguardo a Gesù ci impedisce di trovare un'analogia per comprenderne l'amore, che rimane perciò unico nel suo genere. "Giuseppe amò come Giuseppe", finirà con l'affermare P. Gerolamo Gracian trattando dell'amore sovrano che intercorse tra Gesù e Giuseppe: "Da questa cura e affanno per amare e servire Dio, Giuseppe arrivò ad amare ed essere amato con violenza e forza, e da questa violenza giunse all'aumento e infine alla vetta suprema dell'amore, che fu tale da non poterlo esprimere in altro modo, se non dicendo che, dopo Maria, Giuseppe amò come Giuseppe".
Nessuna meraviglia, dunque, che le anime religiose, desiderose di raggiungere la perfezione, continuino a vedere in san Giuseppe il modello della vita di unione con Dio, il vero Maestro della vita interiore.
È difficile per noi comprendere l'ampiezza e la profondità della conoscenza concessa a san Giuseppe nella contemplazione della Verità stessa, che abitava nella sua casa. Sta di fatto che la beatitudine, concessa dal Padre ai discepoli di Gesù, di conoscere i misteri del regno dei cieli, non poté essere rifiutata da Dio a colui che ne faceva in terra le veci, come giustamente affermò san Berbardo: "Il Signore ha trovato Giuseppe secondo il suo cuore e gli ha confidato con piena sicurezza il più misterioso e sacro segreto del suo cuore. A lui ha svelato le oscurità e i segreti della sua sapienza, accordandogli di conoscere il mistero sconosciuto a tutti i principi di questo mondo".
A coloro i quali obiettano che san Giuseppe non poté essere un contemplativo, perché distratto da tante occupazioni e preoccupazioni materiali, san Tommaso vede nell'amore la cerniera che assicura l'unione tra la vita contemplativa e quella attiva: "È manifesto che se uno è chiamato dalla vita contemplativa a quella attiva a motivo di qualche necessità della vita presente, ciò non avviene come diminuzione".
L'amore di Giuseppe per Gesù era certamente puro amore di contemplazione della Verità divina, che si irradiava attraverso lo strumento congiunto dell'umanità di Gesù, e contemporaneamente era altrettanto puro amore di servizio, richiesto dalla conservazione e sviluppo di quella stessa umanità che era congiunta alla divinità.
La singolarità della posizione di san Giuseppe riguardo a Gesù ci impedisce di trovare un'analogia per comprenderne l'amore, che rimane perciò unico nel suo genere. "Giuseppe amò come Giuseppe", finirà con l'affermare P. Gerolamo Gracian trattando dell'amore sovrano che intercorse tra Gesù e Giuseppe: "Da questa cura e affanno per amare e servire Dio, Giuseppe arrivò ad amare ed essere amato con violenza e forza, e da questa violenza giunse all'aumento e infine alla vetta suprema dell'amore, che fu tale da non poterlo esprimere in altro modo, se non dicendo che, dopo Maria, Giuseppe amò come Giuseppe".
Nessuna meraviglia, dunque, che le anime religiose, desiderose di raggiungere la perfezione, continuino a vedere in san Giuseppe il modello della vita di unione con Dio, il vero Maestro della vita interiore.
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