(in La Santa Crociata in onore di San Giuseppe, dicembre 2021, p. IV)
San Giuseppe lo sento vicino, anche nel suo essere schivo e di poche parole. Di lui però viene tramandata una immagine sbiadita che non gli rende giustizia. Io lo vedo come uomo colto – una cultura che veniva dalla vita –, e soprattutto come uomo di grande fede, di ascolto e di straordinarie intuizioni.
Non poteva non avere coscienza del progetto di salvezza che Dio aveva preparato anche attraverso di lui, e della vocazione a cui veniva chiamato: sposo di Maria e padre putativo del Messia.
Penso che Giuseppe, nella sua bottega artigiana, abbia insegnato a Gesù quello che anch'io ho imparato dalla mia famiglia e che ho voluto trasmettere ai miei figli: il lavoro non è un'attività finalizzata al profitto e all'affermazione egoistica di se stessi, ma contribuisce a definire il rapporto con gli altri e con l'ambiente, come luogo dell'incontro e della fede.
Sul mestiere di Giuseppe sappiamo molto poco, poteva essere un falegname, o forse un carpentiere o un frequentatore del Tempio... Ma io credo, in ogni caso, che in lui ci fosse una forte intuizione creativa e quindi artistica, una passione autentica e vitale per la bellezza.
Come poteva il padre putativo del Creatore di tutte le cose, del Verbo di Dio, non essere animato lui stesso nel suo agire e nel suo lavoro da uno spirito creativo vivace, intelligente, libero?
Non ho mai creduto che il processo creativo sia tale per l'originalità di un'opera, o per la trovata più o meno sensazionale, o per l'invenzione che genera scandalo. Lo spirito creativo, che credo abbia animato anche san Giuseppe, è la parte più vera di ogni lavoro e ne santifica la fatica: è la capacità di esprimere, nel segno della bellezza, della poesia e della fede, il proprio sentire, il proprio vedere che si fa apertura ai fratelli, condivisione di un percorso che nasce da un dono che ci è stato affidato e che siamo chiamati a fare crescere e a portare a frutto.
Nessun commento:
Posta un commento