LA SPIRITUALITÀ DEL CUSTODIRE

 (P. Gaietani, La Santa Crociata in onore di San Giuseppe - gennaio 2021, p. 15)



Il silenzio di san Giuseppe è un silenzio impressionante, il suo non è il silenzio di chi non ha nulla da dire, è il silenzio di chi è attore principale dentro una storia di salvezza che vive nella consapevolezza che le parole sono inadeguate per dire il mistero che si sta vivendo.
Non c'è solo cioè una maternità spirituale che si dà ai piedi della croce ed è applicabile alla Beata Vergine Maria, ma c'è una paternità spirituale che si dà e si dà dentro il contesto della casa di Nazareth, in questo luogo di grazia, in questo luogo di lavoro, in questo luogo dove l'artigiano Giuseppe elabora una forma di vita. L'esortazione apostolica Redemptoris Custos afferma che san Giu
seppe proprio in tal modo coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della redenzione ed è veramente ministro della salvezza. Proprio quella della paternità in un tempo di dissoluzione e collegando questo all'opera per la salvezza che passa attraverso l'esercizio di una paternità che dà concretezza all'incarnazione del Verbo fino alla pienezza della sua incarnazione, che è la passione e morte di Nostro Signore, rappresenta una seconda riflessione.
Giuseppe dentro, in questo modo, serbava durare la sua famiglia, soprattutto il figlio che ha contribuito a far venire al mondo: si scopre così un accezione nuova dell'autorità che non passa attraverso il dominio ma attraverso la capacità di azione, non attraverso la legge del desiderio, ma la cura. Questa riflessione serve a dire che san Giuseppe in questo momento deve emergere da quella zona grigia dove l'abbiamo parcheggiato. Non mostra i muscoli, non digrigna i denti, non ha la pretesa di essere un padre forte ma semplicemente un padre indebolito, dicevo, che non vuol dire irrilevante.
Apprenderemo forse che era un uomo giusto davanti a Dio, davanti alla legge, sapremo semplicemente dire che era un falegname. Andiamo oltre quella soglia e entriamo nella casa di Nazareth, comprendiamo altro: cosa comprendiamo? Entrare in quella casa significa apprendere, significa vivere una relazione. Questo mi consente di dire allora che è a partire da questo mondo, la bottega, la casa, un ambiente vitale che san Giuseppe continua a custodire tutti coloro che sono disponibili ad entrare per scambiare quattro chiacchiere.
Questo per me il senso più profondo della proclamazione di san Giuseppe patrono della Chiesa universale, prolungamento della famiglia di Nazareth; questo il senso della nostra celebrazione oggi: occorre entrare in quella casa, in quella bel lezza e aprirci alla spiritualità fatta di vita di parole appena sussurrate di gesti e silenzi che sovrastano e che non si conoscono sino in fondo, fiducia accordata nella consapevolezza che la vita è sempre più grande rispetto a quello che possiamo immaginare, attenzione verso coloro che riempiono la vita di stupore e di gaudio. Vedete allora come la spiritualità del custodire è una spiritualità che nasce dentro quella casa e che si nutre per vissuto di quella famiglia.
Chiudo dicendo: san Giuseppe sognatore ci sussurra che non c'è spiritualità senza relazioni, senza l'eloquenza dei gesti, senza gratuità, ma Giuseppe non può finire di parlarci senza farci guardare Maria, il sogno più bello della sua vita.
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