GIUSEPPE È PADRE PERCHÈ È RESPONSABILE

 (Ernesto Della Corte, La Santa Crociata in onore di San Giuseppe, febbraio 2021, p. 16-17)



I
I grande Origene riflette molto su questo personaggio così importante nella vita del Figlio di Dio e nel commento al Levitico scrive: «Giuseppe non ebbe alcuna parte nella nascita di Gesù, se non per il suo servizio e il suo affetto. È a motivo di questo servizio fedele che la Scrittura gli dà il nome di padre».
Egli sottolinea la dimensione educativa della paternità giuseppina, perché quest'uomo è chiamato a custodire, accompagnare, servire il Figlio di Dio e la sua sposa Maria, chiamata alla maternità divina. Si può essere genitore e non padre, perché la dimensione biologica non necessariamente porta al compito educativo, mentre la paternità, pur quando non si è genitore, comporta il tracciare un cammino e una direzione di crescita umana e religiosa. I Vangeli parlano chiaramente di lui come del «padre di Gesù» (cf. Lc 2,33: l'episodio del ritrovamento nel portico di Salomone a Gerusalemme). Maria e Giuseppe hanno smarrito il dodicenne Gesù e solo dopo tre giorni lo ritrovano ad ascoltare e interrogare i dottori della Legge: «Tuo padre ed io ti cercavamo angosciati» (Lc 2,48). Giuseppe in quella occasione ascoltò dalla viva voce di Gesù che Egli doveva «essere nelle cose del Padre suo», espressione che non vuole assolutamente relativizzare Giuseppe, ma ribadire la sua vocazione, come dice il card. C.M. Martini: «Nel vangelo di Luca Gesù dodicenne pronuncia per la prima volta la parola "Padre" perché Maria e Giuseppe comprendono la radice profonda della sua vocazione: la ripeterà per l'ultima volta sulla croce mentre sta per morire: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23.46). Al tempio dunque Egli ha assunto e ha espresso la consapevolezza del suo cammino vocazionale che termina con la consegna definitiva al Padre sulla croce».
Gesù ribadisce al padre e alla madre la Sua scelta vocazionale di fondo: essere nella volontà del Padre celeste e come Lui anche Giuseppe, Maria e ognuno di noi deve compiere lo stesso cammino. In questa occasione cosa avrà pensato Giuseppe? Lui che da tanti anni stava compiendo con Maria la difficile ma esaltante missione di custodire il Figlio di Dio? Si sarà sentito ridimensionato oppure avrà ripensato alla chiamata ricevuta? Qui in terra egli è stato scelto da Dio perché attraverso la paternità umana imparasse dalle cose che visse l'obbedienza al Padre celeste. Ecco perché Luca termina il brano sottolineando che dopo questa famosa pasqua, Gesù tornò a Nazaret e continuava a essere sottomesso a Giuseppe e Maria. 
In Gv 1,45 Gesù è chiamato «il figlio di Giuseppe, di Nazaret». In Gv 6,42 di Lui si dice che è «il figlio di Giuseppe» e si aggiunge: «Di Lui conosciamo il padre e la madre».
Manicardi, nel suo Giuseppe, uomo giusto, dice: «Giuseppe. con il suo assumere una paternità nei confronti di Gesù, pur non essendo il suo genitore, svolge un compito paterno assolutamente vitale. Svolge il compito del riconoscimento».
Il cosa consiste questo "compito del riconoscimento"? Vuol dire essere accolti con amore ed entrare così in una storia di relazioni affettive ed educative. Gesù entra nella storia prendendo la "carne umana" da Maria e attraverso il padre Giuseppe che lo accoglie e lo accompagna in una storia di relazioni e di appartenenza. Ognuno di noi è frutto anche delle tante relazioni in cui entra a far parte.
Giuseppe assume la paternità che prima di essere legale è vocazionale, gli dà il nome scelto da Dio e lo fa entrare in una storia – vedi la genealogia – fatta tante volte di miseria e anche di peccato. Ma proprio in questa storia, la miseria umana diventa il "buco" attraverso il quale entra la luce della Misericordia di Dio, anzi entra il Salvatore del mondo, l'Emmanuele tanto atteso da secoli.
Essere padre non vuol dire generare fisicamente né imporre regole esterne, ma è una relazione nella quale egli è il vettore che indica la direzione. Giuseppe, il giusto, l'uomo che vive davanti a Dio per realizzare la Sua volontà, dovrà coniugare il suo ruolo vocazionale con la libertà di Colui che è vero Uomo e vero Dio.
Egli è responsabile davanti a Dio di dover "incarnare" per Gesù l'unica e vera Paternità, che è solo di Dio Padre.
Compito meraviglioso e sempre da realizzare e da vivere.
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