LA "PARTE" DI SAN GIUSEPPE NEL MISTERO
DELLA REDENZIONE
(Tarcisio Stramare, La Santa Crociata in onore di San Giuseppe, 4/2014, pp.18-20)
La teologia di San Giuseppe parte della sua paternità
Nel passato la discussione sul "principio" della teologia di san Giuseppe, ossia sulla base fondamentale della sua grandezza, teneva in grande considerazione il matrimonio di san Giuseppe con Maria SS. La RC, che è rigidamente cristologica, ha fatto, invece, la sua scelta per la paternità di Giuseppe, che è "una relazione che lo colloca il più vicino possibile a Cristo, termine di ogni elezione e predestinazione (cf Rm 8,28-29)" (n. 7). Il significativo inizio del documento, "Redemptoris Custos", vuole sottolineare lo stretto rapporto di san Giuseppe con la missione salvifica (Custode del Redentore) di Gesù prima ancora che con la sua vita, in perfetta linea con le encicliche sulla "Redenzione".
La preferenza data al termine "custode" anziché "padre" non è, allora, senza significato. Osserviamo, innanzitutto, che, teologicamente parlando, il titolo di "padre" è fuori discussione, perché riconosciuto a Giuseppe dalla stessa predicazione apostolica, testimoniata nei Vangeli. Luca lo denomina espressamente due volte "padre", mettendo il titolo anche sulle labbra della stessa Maria (cf. Lc 2,48; 2,33).
Nella Liturgia incontriamo "pater Salvatoris" e anche "pater Verbi". Da parte sua, la RC afferma chiaramente la paternità di san Giuseppe come "conseguenza dell'unione ipostatica": "Inserita direttamente nel mistero dell'Incarnazione, la Famiglia di Nazaret costituisce essa stessa uno speciale mistero. Ed insieme - così come nell'incarnazione . a questo mistero appartiene la vera paternità: la forma umana della famiglia del Figlio di Dio - vera famiglia umana, formata dal mistero divino. In essa Giuseppe è il padre: non è la sua una paternità derivante dalla generazione; eppure, essa non è apparente, o soltanto sostitutiva, ma possiede in pieno l'autenticità della paternità umana, della missione paterna nella famiglia. È contenuta in ciò una conseguenza dell'unione ipostatica: umanità assunta nell'unità della Persona divina del Verbo-Figlio, Gesù Cristo. Insieme con l'assunzione dell'umanità, in Cristo è anche assunto tutto ciò che è umano e, in particolare la famiglia, quale prima dimensione della sua esistenza in terra. In questo contesto è anche assunta la paternità umana di Giuseppe" (n. 21).
Il testo citato è importante a motivo del riferimento al mistero dell'unione ipostatica e alla consegtuente santificazione della paternità e della famiglia, temi tanto attuali nella pastorale, che dovrebbe cercare qui il loro fondamento teologico, inspiegabilmente disatteso.
La ragione per cui Giovanni Paolo II ha preferito "custode" a "padre" va vista nel desiderio di evidenziare gli aspetti meno considerati della paternità umana, la quale non consiste solo nel generare - attività da escludere nella generazione di Gesù, concepito per opera dello Spirito Santo - ma anche nell'accogliere e nell'educare, in corrispondenza alla dignità del concepito. Questi due aspetti essenziali della paternità mettono in particolare risalto che essa non constituisce un diritto assoluto di proprietà sul figlio, come se fosse un prodotto, ma comporta bensì un grave dovere di "servizio" verso lo sviluppo e la promozione del figlio fino alla sua perfezione. Ciò significa che i genitori sono essenzialmente "custodi" e non "padroni". Di qui il ruolo di san Giuseppe "chiamato ad essere il Custode del Redentore" (n. 1), specificando in seguito che "è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l'esercizio della sua paternità" (n. 8).
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