SAN GIUSEPPE, MODELLO DI UOMO E DI PADRE


(Jean-François Noël, in Osservatore Romano, 18 marzo 2017)


All’inizio del vangelo di Matteo si apprendono alcuni fatti riguardanti la vita di Giuseppe, il futuro padre di Gesù: almeno due decisioni difficili da prendere per un uomo che sta per diventare sposo e padre, o che perlomeno così vorrebbe. La nascita del bambino è segnata infatti da due momenti di estrema violenza che, ogni volta, minacciano direttamente la sua vita; l’uno, ancor prima della sua nascita, cioè il ripudio di sua madre, e l’altro il massacro deciso da Erode. La lettura teologica ha messo in luce che la vita del Messia è segnata fin dall’inizio dallo scontro con la morte. Leggendo più attentamente il testo, ci si può tuttavia chiedere come siano state eluse quelle insidie e grazie a chi.
Tutto poggia su quel versetto che resta, checché se ne dica, alquanto enigmatico: «Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe non temere di prendere con te Maria, tua sposa”».
Bisogna leggervi solo un intervento magico del divino, che è stato la parola d’ordine di tante interpretazioni moralizzanti? Grazie alle quali Giuseppe è stato considerato a lungo una figura pallida, senza consistenza, rispetto alla sua sposa luminosa, e ancora più rispetto al figlio divino. Ebbene, è innegabile che il Vangelo, proprio attraverso il concepimento verginale di Gesù, conferisce alla maternità di Maria un valore così universale e trascendente da farla divenire non solo la madre di tutti gli uomini, ma anche di Dio. Perché la paternità di Gesù non è stata trattata allo stesso modo? Le decisioni più importanti Giuseppe le ha prese nel corso di “sogni”. Ma sarà vero? Dio, Padre, avendo così poca fiducia nell’uomo, si sarebbe completamente sostituito a lui, al punto da farne uno strumento del tutto passivo? Non ci credo. Dobbiamo quindi riprendere con attenzione la lettura del testo e smentire le interpretazioni troppo frettolose.
Proprio prima della parte dei “sogni” che fanno sospettare della capacità di Giuseppe di essere un vero padre, e dunque di sapere prendere le decisioni necessarie quando quel che ha di più caro è minacciato, si può leggere: «Giuseppe suo sposo, che era giusto... decise di licenziarla in segreto». In segreto? Ciò significa che Giuseppe si discosta da quanto prescritto al suo tempo. E questa prima decisione è stata presa senza alcun intervento divino. Ritorniamo al contesto: quella giovane, di cui Giuseppe è verosimilmente innamorato, poiché è scritto che era la sua fidanzata, il che presuppone un riconoscimento pubblico, è incinta. La legge prescrive il ripudio pubblico. I fatti sono incontestabili, la legge è chiara e senza appello. L’altra giustizia — un uomo “giusto” — che è quella interiore, entra in conflitto con quella degli uomini. Certo, Giuseppe decide di applicare la legge, ma senza violenza. È il suo primo atto di disarmo, talmente discreto che nessuno lo noterà né criticherà. Tuttavia, questo primo moto, così fragile, così intimo, cela una forza incredibile. La forza di un “no” che si oppone a una giustizia umana.
È il primo atto di disarmo dalla violenza che descrive la linea guida del Vangelo, che va da questa prima decisione fino alla morte di Cristo sulla croce, ultimo disarmo da quella stessa violenza. Si tratta, che ai detrattori piaccia o no, di una vera decisione di uomo e di padre. Come se avesse appena superato il suo primo esame di paternità, e Dio sapesse di poter finalmente contare su di lui e affidargli la sacra famiglia. L’espressione “in segreto”, che vuole tradurre il termine greco làthra, è appropriata e ci consente di rileggere in modo diverso la questione dei sogni, e di non vederli più come mere fantasticherie mistiche.
Giuseppe è un uomo giusto, non solo nel senso che rispetta la legge, ma anche che è un uomo che si confronta con ciò che ha dentro: il “mentre però stava pensando a queste cose” costituisce proprio la base del dispiegarsi della sua coscienza. Si libera della violenza della giustizia umana e si disfa della propria violenza, che sarebbe tradire ciò che prova per Maria. Si discosta dalla violenza, per quanto giustificata, e sceglie di restare fedele a se stesso di fronte a quel che prova per lei.
Quest’uomo ascolta la sua coscienza. E soprattutto rimane all’erta. Non ha ceduto alle voci esterne, è rimasto vigile. Ciò che sente gli consente di disobbedire in parte agli uomini. Giuseppe, attraverso questa prima decisione, è invitato a rientrare in se stesso, anche se della propria coscienza sente solo un primo mormorio. Ma gli basta. La storia di Gesù, e quindi quella della salvezza dell’umanità, si fonda su una punta di spillo. Giuseppe ha aperto la porta, è andato in quel luogo d’intimità così intimo da essere più interiore di qualsiasi intimità, come dice sant’Agostino. Ebbene, è proprio questo il luogo che Dio ama frequentare, è lì che tutto comincia, è lì che si può far sentire l’eterna conversazione ininterrotta tra Dio e la sua creatura fatta a sua immagine. «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo», dice il profeta Geremia (Geremia 1, 5).
Il Vangelo, nella sua consueta sobrietà, con la precisione d’immagini e il pudore che lo caratterizza, non può che parlare “di angelo che appare in sogno”, per descrivere quell’incontro ai margini della coscienza dell’uomo. Coscienza a cui Dio, senza aggiungere né imporre nulla, rivela ciò che aveva in sé fin dall’inizio, ma che non avrebbe potuto ammettere senza la sua visita. «Rientrato in me stesso, sotto la tua guida, entrai nell’intimità del mio cuore» (Sant’Agostino, Confessioni, vii, 16). Ciò che prova per Maria, che è più forte del timore di essere stato tradito, appartiene solo a lui. È questo il messaggio dell’angelo: “non temere”... il secondo disarmo.
Giuseppe era solo. Contrariamente a Giobbe, non era circondato dai più grandi teologi pronti a consigliarlo. E del resto basta rileggere il libro di Giobbe per capire ciò che pensa di quei consiglieri apparentemente saggi. Dopo aver indugiato a lungo, Giobbe deciderà anche lui di restare fedele alla propria coscienza; coscienza che urla, contro ogni aspettativa e ogni logica, di puntare sulla sua radicale innocenza e sulla rettitudine della sua coscienza. Lo stesso vale per Giuseppe e per qualsiasi uomo che si presti a questo viaggio intimo. C’è qualcuno in fondo a quell’intimità... qualcuno che permetterà di scoprire ciò che vi si nasconde, non per essere ignorato dall’uomo, ma per proteggersi dal rumore e dalla ragione del mondo. Come se la piena coscienza dell’uomo si potesse aprire solo attraverso un incontro. Giuseppe doveva incontrarvi ciò che provava per Maria, che, come un’ondata, avrebbe trascinato via tutte le minacce e si sarebbe dimostrato più forte della morte. Doveva anche allontanarsi dalle voci del mondo che gli prescrivevano di ripudiarla, per discendere in quel luogo così profondo da assomigliare a un sogno, ma che rivela le realtà più vere. Quelle realtà che scuotono le credenze convenzionali per spingere l’uomo, contro ogni aspettativa, “a fidarsi di esse”. Fidanzarsi — il che rivela che la vera fede non è la somma razionale delle credenze, ma ciò che anima la vita d’intimità — diviene l’assunzione di una convinzione talmente definitiva che basta conformarsi a essa. E Giuseppe fece come l’angelo gli aveva prescritto, dominò la paura e prese con sé la madre e il bambino. E fu così che divenne padre.
Il risveglio di una coscienza non dipende dunque da un consiglio, ma da un incontro, da una visitazione.
Riprendiamo alcuni punti cardine che il testo evangelico sobriamente ci offre, chiedendo indulgenza per gli sviluppi e gli ampliamenti a cui lo sottoporremo.
Maria è “promessa sposa di Giuseppe”. Una scelta, un impegno, una promessa dell’uno all’altro che s’iscrive nella magnifica castità del desiderio amoroso. E bisogna intendere castità non come astinenza, ritiro, ma come una apertura più grande, l’imparare a donarsi affinché l’altro divenga il mio primo e ultimo pensiero. Questo impegno promuove ciò che ognuno ha dentro, mette al primo posto ciò che il desiderio sessuale fa appena intravedere, il desiderio amoroso spera e il desiderio di essere vivi riconosce. La bussola sconvolta del loro cuore, del loro cuore profondo, ha individuato il segnale e pian piano la barca può spiegare le proprie vele, chiudere le comunicazioni e prendere il largo. “Il mio diletto è per me e io per lui”. Quel che accade è indimenticabile e incredibile. Nessuno sforzo di memoria. Ogni pensiero ormai rivolto a questo compimento soddisfa le attese più nascoste. Questo stesso pensiero dimora tranquillamente nel cuore dei due fidanzati, sorpresi loro stessi dalla naturalezza con cui quel nuovo dato ha trovato il proprio posto. Il che fa pensare loro che erano promessi l’uno all’altro. Hanno ragione a riconoscervi una promessa divina, anche se si sbagliano sul suo intervento. Dio non aggiunge nulla alla natura, la predispone affinché possa ricevere ciò a cui è destinata.
“Prima che andassero a vivere insieme...”. Le apparenze, le convenzioni, le regole ricopriranno la verginità della loro emozione, e della loro nascita reciproca. La modalità del male è mascherare, ingannare e illuderci. E soprattutto, farci restare sulla superficie degli eventi, farci dimenticare la profondità... sconvolgere la nostra ragione che, avendo perduto le sue radici, si aggrappa ai rami dell’opinione del mondo. Giuseppe è dibattuto, ma qualcosa in lui resiste, e si adegua a riconoscere l’inevitabile. La modalità dello straordinario è captare non solo la visione, ma anche il pensiero. Pensiero tenuto prigioniero dall’evidenza della colpa. Non è che Giuseppe metta in dubbio quello che i suoi occhi vedono e constatano, è che non può soccombere completamente all’invito della violenza. Come una fedeltà segreta, che si potrebbe ritenere folle, e che consente di sottrarre a questa uscita da se stesso una parte intima. Perché è indimenticabile: «Decise di licenziarla in segreto».
«Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore». Il cuore pesante e triste non consente alla violenza dell’accusa. Come farà alcuni anni dopo suo figlio quando, di fronte a un flagrante delitto di adulterio, abbassando lo sguardo verso terra per scrivere alcune parole misteriose sulla misericordia, tenterà di disarmare l’ingannevole godimento di quanti si credono innocenti e raddoppiano la violenza per mascherare la loro colpevolezza. Giuseppe mette al sicuro la parte intima, la parte promessa a quella donna... il suo desiderio, crocifisso, è intatto, ma senza risposta. Crede di aver perduto colei che gli si è promessa ma non può dimenticare la forza del suo desiderio, che resta ai margini della sua coscienza. Può ritrovarsi e ritrovarla. Non l’aveva dimenticato, era semplicemente celato, nascosto dentro di lui. Il suo spirito rinvigorito dalla freschezza del suo desiderio accetta la non risposta, l’impensabile. E accoglie la sfida. Perché un angelo? Per convincere il povero Giuseppe che, imprigionato nella melma dell’umanità troppo umana, non può andare oltre l’inspiegabile? Non riconosco qui il modo di fare proprio di Dio. Questi si permetterebbe di tanto in tanto di dare una spintarella più autoritaria al succedersi degli eventi del mondo? C’è un’altra via. L’angelo, approfittando di questo primo disarmo che Giuseppe ha deciso da solo, per rispettare quello che prova per Maria, diviene colui che lo spinge a superare se stesso. Come in una lotta, che ricorda quella di Giacobbe e dell’angelo, che assomiglia a un abbraccio e insieme a un combattimento, l’angelo spinge Giuseppe a guardarsi dentro per ritrovare quello che non aveva mai dimenticato, ma solo nascosto. San Paolo esprimerà in modo diverso questa visitazione dell’angelo a Giuseppe, perché proprio di una visitazione si tratta, quando scriverà con un’intuizione unica: «Quel che lo Spirito dice allo spirito».
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