«Giuseppe, sta arrivando una donna dal forno. Ecco, ti ha portato del pane, e la bottega si è subito riempita di fragranza.
Frattanto colgo il destro di questa interruzione per osservare
che sono davvero fortunato, dal momento che il Signore mi sta mettendo
sotto gli occhi i simboli giusti nel momento giusto! Stavamo parlando di
condivisione, ed ecco il segno più classico: il pane!
Si direbbe che il pane, più che per nutrire, è nato per essere condiviso: con gli amici, con i poveri, con i pellegrini, con gli ospiti di passaggio! Spezzato sulla tavola, cementa la comunione dei commensali; deposto nel fondo di una bisaccia riconcilia il viandante con la vita; offerto in elemosina al mendico, gli regala un’esperienza, sia pure fugace di fraternità; donato a chi bussa di notte nel bisogno, oltre a quella dello stomaco, placa anche la fame dello spirito, che è fame di solidarietà; raccolto nelle sporte, dopo un pasto miracolo sull’erba verde, sta ad indicare che a chi sa fare la divisione, gli riesce bene anche la moltiplicazione!
Si direbbe che il pane, più che per nutrire, è nato per essere condiviso: con gli amici, con i poveri, con i pellegrini, con gli ospiti di passaggio! Spezzato sulla tavola, cementa la comunione dei commensali; deposto nel fondo di una bisaccia riconcilia il viandante con la vita; offerto in elemosina al mendico, gli regala un’esperienza, sia pure fugace di fraternità; donato a chi bussa di notte nel bisogno, oltre a quella dello stomaco, placa anche la fame dello spirito, che è fame di solidarietà; raccolto nelle sporte, dopo un pasto miracolo sull’erba verde, sta ad indicare che a chi sa fare la divisione, gli riesce bene anche la moltiplicazione!
È proprio vero, Giuseppe. Il pane è il sacramento più giusto
del tuo vincolo con Maria. Lei morde ogni giorno quello di frumento,
procuratole da te col sudore della fronte. Tu mordi il pane del tuo
destino che l’ha resa Madre del Figlio di Dio.
È per questo che per noi, o falegname di Nazareth, tu sei provocatore di condivisioni generose e assurde, appassionate e temerarie, al centro della sapienza e al limite della follia.
È per questo che per noi, o falegname di Nazareth, tu sei provocatore di condivisioni generose e assurde, appassionate e temerarie, al centro della sapienza e al limite della follia.
Insegnaci, allora, a condividere il pane con i fratelli poveri,
in questo nostro mondo, dove purtroppo muoiono ancora più di cinquanta
milioni di persone per fame.
Il pane da segno di comunione, si è trasformato in simbolo della scomunica, ed è divenuto il discrimine sul cui filo passa la logica della guerra: viene accaparrato dagli ingordi, non condiviso dai poveri, ammuffisce nelle credenze degli avidi, non allieta la madia degli umili, si accumula negli artigli di pochi, non si distribuisce sulle bocche di tutti! Sovrabbonda nei bidoni della spazzatura d’Europa, ma è sparito sulle mense desolate dell’Eritrea. Trabocca senza pudore negli opulenti cenoni del Nord, ma è sogno proibito per tutti i Sud della Terra!
Il pane da segno di comunione, si è trasformato in simbolo della scomunica, ed è divenuto il discrimine sul cui filo passa la logica della guerra: viene accaparrato dagli ingordi, non condiviso dai poveri, ammuffisce nelle credenze degli avidi, non allieta la madia degli umili, si accumula negli artigli di pochi, non si distribuisce sulle bocche di tutti! Sovrabbonda nei bidoni della spazzatura d’Europa, ma è sparito sulle mense desolate dell’Eritrea. Trabocca senza pudore negli opulenti cenoni del Nord, ma è sogno proibito per tutti i Sud della Terra!
Viene diviso anche; sì, viene diviso, come gesto munifico di
regalità, ma non viene restituito a chi ne ha diritto, con i canti
gregoriani della penitenza e in nome della giustizia!
Hai sentito mai dire, Giuseppe, che se i ghiacciai eterni dell’Ermon, si sciogliessero d’incanto, le acque sprofonderebbero a valle con pro rose tracimazioni, il lago di Tiberiade diventerebbe un mare, il giordano strariperebbe, rompendo gli argini, e l’arsura dell’intera Palestina, verrebbe per sempre placata!
Hai sentito mai dire, Giuseppe, che se i ghiacciai eterni dell’Ermon, si sciogliessero d’incanto, le acque sprofonderebbero a valle con pro rose tracimazioni, il lago di Tiberiade diventerebbe un mare, il giordano strariperebbe, rompendo gli argini, e l’arsura dell’intera Palestina, verrebbe per sempre placata!
E allora! Visto che presso l’Altissimo, ce ne sono poco di
santi così referenziati come te, perché non provochi un fenomeno simile,
scongelando le ricchezze dalle mani di pochi e travolgendo la terra in
un cataclisma di pane. E se questo ti sembra un miracolo troppo grosso
per i tuoi mezzi, perché almeno non persuadi la Chiesa del Duemila a
farsi carico con più fiducia della sorte degli ultimi, non solo
spartendo le sue ricchezze con i poveri, ma soprattutto condividendo la
miseria degli esclusi.
Oggi più che mai vogliamo sperimentarti così, quale Protector
Sancte Ecclesiae, Protettore della chiesa dei derelitti, degli
emarginati, dei violentati, dei palestinesi, dei marocchini, dei
terzomondiari, degli sfrattati, degli sfruttati, dei prigionieri, e
degli inquilini di tutte le più squallide periferie dell’umanità.
Capisco che se non mi rispondi non è solo perché tu sei l’uomo del silenzio, ma anche perché la
fornaia si è attardata nella tua bottega. Ha visto la culla e
non ha smesso di contemplarla per un istante. Poi si è curvata, ha steso
il mantello per terra e l’ha riempito di trucioli e di segatura, di
ritagli e di assicelle. Ogni sera, così, lei fa il carico per accendere
il forno e a te rimane il pavimento pulito e un pane di granturco per la
cena.
Ma, a proposito, ora che siamo rimasti soli, vuoi spiegarmi, Giuseppe, come hai accolto il mistero di quella culla? E percé mai tu, l’uomo dei sogni, torni ogni
tanto verso quel piccolo nido di legno, e trattieni il respiro, e tendi
l’orecchio illudendoti di ascoltare un vagito?
Oh, figlio della casa di Davide, raffrena la tua impazienza: il
bambino che sta per nascere è sì un Dio gratuito, tanto gratuito che
spunterà come rugiada sul vello, ma tu devi attendere ancora, e anche la
culla deve attendere; anzi, non rimanerci male se ti dico che quel
nido, costruito da te con tanta tenerezza, resterà vuoto per sempre:
sarà troppo piccolo per tuo figlio, quando egli, dopo tanto peregrinare,
metterà piede finalmente nella tua casa. Da ben altro legno del resto
saranno cullate le membra del Dio fatto uomo! Ma stavolta non spetta a
te costruirlo!
Vedo che la notizia non ti turba granché. Hai così tanto imparato
dalla gratuità purissima di Dio, da non provare il minimo sgomento al
pensiero che la tua fatica non sarà compensata neppure dalla
soddisfazione di sentirti utile a qualcosa.
Culla o greppia, non t’importa. Non pretendi neppure contropartite affettive e continui ad attendere come dono, come semplice dono, da nulla provocato, se non dalla sua stessa liberalità, il tuo imprevedibile Dio: O cieli piovete dall’alto, o nubi mandateci il Santo, o terra, apriti o terra e germina il Salvatore.
Culla o greppia, non t’importa. Non pretendi neppure contropartite affettive e continui ad attendere come dono, come semplice dono, da nulla provocato, se non dalla sua stessa liberalità, il tuo imprevedibile Dio: O cieli piovete dall’alto, o nubi mandateci il Santo, o terra, apriti o terra e germina il Salvatore.
Anche la tua vita si è fatta dono. Un dono così grande, che in
paragone quello filtrato dal seme corruttibile della carne, sembra
appena l’acconto di un avaro. Un dono così libero che tutte le paternità
messe insieme dai titolari della tua genealogia, non pareggiano il tuo
diritto di chiamarti padre di Gesù.
Un dono così radicale che, pur custodendo la verginità di Maria, ti fa una sola carne con lei
infinitamente più di quanto non siano tutt’uno due sposi nel momento supremo dell’amore.
Un dono così gioioso, che la tua contabilità non è segnata sui
registri a partita doppia, contempla solo la voce in uscita. Tu non
chiedi nulla per te. Neppure da Dio! Ma non per orgoglio, per
sovraccarico d’amore, dai tutto senza calcolo, e non accantoni oggi
frammenti oscuri di tempo, allo scopo di ritirare domani interessi di
gloria per tutta l’eternità.
Ssssttt....!!!
Silenzio Giuseppe, un carro si è fermato alla tua porta. Entra
un uomo, molto stanco, e poggia sul bancone un piccolo otre di vino, e
dice: “Ho attraversato tutta la Giudea e la Samaria, e debbo
raggiungere, prima che sia notte la terra di Zabulon. Ti ho portato un
po’ di vino, dalle vigne di Engaddi, laggiù presso il Mar Morto. È di
quello buono. Bevilo Giuseppe, alla mia salute con la tua sposa. So che
aspettate un figlio”.
Beh, stasera il Signore vuole mostrarsi particolarmente
generoso anche con me, perché mi ha messo sotto gli occhi un altro
simbolo, quello della gratuità e della festa.
Dopo il pane della fornaia, ecco il vino del carrettiere, il vino che rallegra il cuore dell’uomo.
Mah, vedo Giuseppe che ti accingi a chiudere, perché hai preso un orciolo di terracotta e stai uscendo per riempirlo d’acqua alla fonte vicina. Io allora approfitto della tua assenza per leggere in negativo quel simbolo della letizia, appoggiato sul bancone, e chiedermi se per caso questa mia irruzione di stasera nella tua bottega di Nazaret, non sia stata un’evasione puramente letteraria, in un mondo, che con quello in cui mi tocca vivere, non ha nulla da spartire.
Dopo il pane della fornaia, ecco il vino del carrettiere, il vino che rallegra il cuore dell’uomo.
Mah, vedo Giuseppe che ti accingi a chiudere, perché hai preso un orciolo di terracotta e stai uscendo per riempirlo d’acqua alla fonte vicina. Io allora approfitto della tua assenza per leggere in negativo quel simbolo della letizia, appoggiato sul bancone, e chiedermi se per caso questa mia irruzione di stasera nella tua bottega di Nazaret, non sia stata un’evasione puramente letteraria, in un mondo, che con quello in cui mi tocca vivere, non ha nulla da spartire.
Ci vuole infatti un bel coraggio a dire che il vino è segno di
gratuità e di festa, quando per noi è divenuto l’emblema drammatico
dell’evasione e della fuga, che accomuna i tossici agli alcolisti, gli
ultras ai barboni! Ma perché mai il vino si è pervertito in idolo
fascinoso per chi getta le armi e rinuncia ad un’esistenza troppo
faticosa da vivere?
Il motivo c’è: abbiamo smarrito l’ebbrezza della gratuità e c’è
rimasta solo l’ebbrezza dell’alcol! Sicché in un mondo regolato dai
petroldollari, angosciato dai crolli di Wall Street, retto dalle bilance
dei pagamenti, che irta con la speculazione, che si infischia dei
debiti dei popoli in via di sviluppo, che si lascia sedurre dalla
massimizzazione del profitto, che monetizza persino il rischio delle
popolazioni, i cui terreni sono espropriati per farne basi militari, che
sfrutta i poveri col traffico delle armi, che è sordo alle esigenze di
un nuovo ordine economico internazionale.
Ci si lascia vivere! Si amoreggia con il fatalismo! Ci si appiattisce in un’esistenza che scorre senza
più stupore, senza spessore, come le immagini sul video. E noi
compiamo le nostre scelte come se spingessimo i tasti di un telecomando.
Crediamo di scegliere e invece siamo scelti!
Si muore per anemia cronica di gioia, si moltiplicano le feste, ma manca la Festa!
E le letizie diventano sbornie! Gli incontri frastuoni e i rapporti umani, orge da lupa mari!
Si muore per anemia cronica di gioia, si moltiplicano le feste, ma manca la Festa!
E le letizie diventano sbornie! Gli incontri frastuoni e i rapporti umani, orge da lupa mari!
Meno male Giuseppe che hai fatto presto a tornare dalla fonte.
Vedi in tua assenza sono stato colto da un pauroso deficit di speranza e
ho temuto addirittura di dover uscire dalla tua bottega per la tangente
del pessimismo!
Ma ora che sei rientrato anche il vino di Engaddi, lassù sul bancone, torna a rosseggia di letizia pasquale e risplende come simbolo della festa. Bevilo con Maria alla salute del carrettiere che te l’ha regalato; ma anche alla buona fortuna di tuo figlio che sta per nascere. Un giorno egli farà scorrere il vino sulle mense dei poveri, e sceglierà il succo della vite come sacramento del sabato eterno.
Ma ora che sei rientrato anche il vino di Engaddi, lassù sul bancone, torna a rosseggia di letizia pasquale e risplende come simbolo della festa. Bevilo con Maria alla salute del carrettiere che te l’ha regalato; ma anche alla buona fortuna di tuo figlio che sta per nascere. Un giorno egli farà scorrere il vino sulle mense dei poveri, e sceglierà il succo della vite come sacramento del sabato eterno.
Anzi, se non ti dispiace, mettimene un poco, in quel boccale di creta, me lo voglio portare come
ricordo di quest’incontro, e anche di quell’acqua che sgocciola ancora sul pavimento, dammene un poco!
Non è acqua inquinata quella! Le piogge acide, le discariche industriali e gli additivi chimici l’hanno ancora preservata, lasciandola come simbolo di purezza e di armonia ecologica.
Dammi della tua acqua, la quale è molto utile, et humile, et pretiosa et casta.
Ma dammela soprattutto perché, da quando tuo figlio la userà per lavare i piedi ai suoi amici, in una sera di tradimenti, del mese di Nisan, diverrà il simbolo di un servizio d’amore che è la spiegazione segreta della condivisione, della gratuità e della festa.
E visto che ci siamo, dammi anche di quel pane!
No, non tutto! Spezzamelo Giuseppe! Condividilo con me! Un giorno anche tuo figlio lo spezzerà prima di morire, e la speranza traboccherà sulla terra.
L’acqua, il vino, il pane: la trilogia di un’esistenza ridotta all’essenziale! Li porterò con me, nella bisaccia del pellegrino. Mi serviranno tanto, sulla mia strada di viandante un po’ stanco. E serviranno tanto anche alla mia Chiesa, anzi quando mi chiederà qualcosa, spero di non aver null’altro da darle che questo: né denaro, né prestigio, né potere, ma solo acqua, vino e pane!
Non è acqua inquinata quella! Le piogge acide, le discariche industriali e gli additivi chimici l’hanno ancora preservata, lasciandola come simbolo di purezza e di armonia ecologica.
Dammi della tua acqua, la quale è molto utile, et humile, et pretiosa et casta.
Ma dammela soprattutto perché, da quando tuo figlio la userà per lavare i piedi ai suoi amici, in una sera di tradimenti, del mese di Nisan, diverrà il simbolo di un servizio d’amore che è la spiegazione segreta della condivisione, della gratuità e della festa.
E visto che ci siamo, dammi anche di quel pane!
No, non tutto! Spezzamelo Giuseppe! Condividilo con me! Un giorno anche tuo figlio lo spezzerà prima di morire, e la speranza traboccherà sulla terra.
L’acqua, il vino, il pane: la trilogia di un’esistenza ridotta all’essenziale! Li porterò con me, nella bisaccia del pellegrino. Mi serviranno tanto, sulla mia strada di viandante un po’ stanco. E serviranno tanto anche alla mia Chiesa, anzi quando mi chiederà qualcosa, spero di non aver null’altro da darle che questo: né denaro, né prestigio, né potere, ma solo acqua, vino e pane!
Si è fatto tardi, Giuseppe.
Nella piazza non c’è più nessuno. I grilli cantano sul cedro del tuo giardino.
Nelle case, le famiglie recitano lo “Shemà Israel”. E tra poco Nazareth si addormenterà sotto la luna. Di là, vicino al fuoco, la cena è pronta. Cena di povera gente. L’acqua della fonte, il pane di giornata, e il vino di Engaddi.
E poi c’è Maria che ti aspetta.
Ti prego: quando entri da lei, sfiorala con un bacio. Falle una carezza pure per me. E dille che anch’io le voglio bene. Da morire!
Buona notte, Giuseppe!».
Nella piazza non c’è più nessuno. I grilli cantano sul cedro del tuo giardino.
Nelle case, le famiglie recitano lo “Shemà Israel”. E tra poco Nazareth si addormenterà sotto la luna. Di là, vicino al fuoco, la cena è pronta. Cena di povera gente. L’acqua della fonte, il pane di giornata, e il vino di Engaddi.
E poi c’è Maria che ti aspetta.
Ti prego: quando entri da lei, sfiorala con un bacio. Falle una carezza pure per me. E dille che anch’io le voglio bene. Da morire!
Buona notte, Giuseppe!».
Nessun commento:
Posta un commento