SAN GIUSEPPE (di Antonio Maria Sicari Ocd) - Prima parte

Sposo di Maria

«La coppia di Giuseppe e di Maria costituisce il vertice, dal quale la santità si espande su tutta la terra». È questa la bella definizione con cui Giovanni Paolo II ha introdotto, nel 1989, una sua Esortazione Apostolica dedicata a colui che ebbe in terra la missione di essere “il Custode del Redentore” (cfr. n. 7).
Si dice di solito che San Giuseppe è “l’uomo del silenzio e dell’umiltà”, anche perché di lui il Vangelo non riporta nessuna parola, ma solo atti di obbedienza e di sollecitudine. Eppure le vicende che lo riguardano sono così intense che non riusciamo nemmeno a comprenderle in tutta la loro profondità: possiamo accostarci ad esse ripetutamente ed intuiamo che ci sfugge sempre parte della bellezza e della profondità di quegli accadimenti. Anche la più breve espressione che lo riguarda racchiude in sé profondità infinite.
Cominciamo dalla più semplice, utilizzata già nel suo albero genealogico, dove è indicato come «virum Mariae» (Mt 1,16): l’uomo di Maria. L’angelo di Dio viene appunto inviato all’«uomo di Maria» (Mt 1,19) e a Giuseppe parla di lei chiamandola: «la tua donna» (Mt 1,20). Tutto quello che sta per accadere ha alla base questo fondamento su cui tutto dev’essere costruito: Giuseppe è “l’uomo di Maria” e Maria è “la donna di Giuseppe”. Essi formano la prima coppia del mondo nuovo che sta per iniziare. Il fatto che Maria fosse “promessa sposa” non vuol dire che il loro legame fosse provvisorio (come accade ai nostri giorni). Secondo la legge ebraica del tempo, i due promessi erano veri sposi. L’essenza del vincolo coniugale era già presente, al punto che quel patto si chiamava “consacrazione [della donna]”. Un eventuale adulterio poteva essere punito con la morte; e, se il fidanzato moriva, la promessa sposa diventava vedova a tutti gli effetti. Mancava solo la “celebrazione nuziale”, che consisteva nell’introduzione della Sposa nella casa dello Sposo, per dare inizio alla coabitazione; il che avveniva qualche tempo dopo, con grandi festeggiamenti.
Giuseppe, dunque, prima di tutti i successivi avvenimenti e prima che Dio intervenga con l’immenso dono di un figlio Divino, è “l’uomo di Maria”. Possiamo già evocare nel pensiero tutto quello che oggi sappiamo di lei (la “piena di grazia”, “l’immacolata”) e del suo destino (eternamente destinata ad essere “la Vergine-Madre”, “onorata da tutte le generazioni”, “amata e venerata con mille nomi”) e ciò basta a lasciarci stupiti davanti all’infinita felicità di Giuseppe. Nessun altro uomo, infatti, ha mai potuto e potrà mai amare Maria come la ha amata Lui; nessun altro uomo è stato da Lei così amato come è stato amato Giuseppe; nessun altro uomo ha potuto accostarsi a lei (guardarla, parlarle, ascoltarla, toccarla e starle vicino) come Giuseppe ha potuto fare: con tenerezza coniugale, con intimità familiare. Nessun altro uomo ha potuto donarsi a lei, come ha fatto Giuseppe. Egli ha “un ineffabile titolo di grandezza: quello di aver fatto battere il cuore di Maria in modo particolare” (Card. Anastasio Ballestrero). E a nessun altro uomo Maria si è donata come si è donata a lui; a nessun altro ella si è intimamente affidata come si è affidata a lui, consegnandogli coniugalmente la propria persona. Certo nella loro vicenda sponsale Dio è intervenuto con un Dono così immenso che la loro fecondità è stata totalmente appagata, e la loro fisicità è stata verginalmente consacrata, ma ciò non ha tolto nulla alla loro reciproca donazione personale. Piuttosto la ha dilatata e approfondita in maniera impensabile. Il fatto che Maria dichiari all’angelo di “non conoscere uomo” e che Giuseppe abbia acconsentito a rispettarla nella sua santa Verginità, restando egli stesso vergine, non ci autorizza a credere che la loro vicenda coniugale sia stata sbiadita ed esangue, priva di sentimenti e di emozioni e che la loro relazione sia stata priva di vera femminilità e di vera maschilità. Tutto quello che era avvenuto tra Maria e Giuseppe prima del concepimento verginale – il loro innamoramento, la promessa che si erano scambiata, i sogni accarezzati e i progetti a lungo coltivati – non solo non veniva abolito, ma acquistava una profondità inaudita ed aveva un Destino eterno.
Soffermiamoci ancora un po’ sulla cara figura di Maria Santissima, ed evochiamo tutto ciò che le arti figurative, la poesia, la letteratura, la musica avrebbero poi cantato di lei (“umile ed alta più che creatura”, “vergine bella vestita di sole”, “fontana vivace di speranza”, “fiamma di carità”, “più bella dell’aurora”, “stella del mattino”, “nome dolcissimo”…) e poi affermiamo semplicemente che tanto tesoro fu donato soprattutto a Giuseppe, quel giorno in cui, nel tranquillo villaggio di Nazareth, i due si offrirono reciprocamente la vita. Possiamo ancora dire che “di Giuseppe non sappiamo quasi nulla…” ? Papa Leone XIII in una Enciclica dedicata proprio al nostro Santo (“Quamquam pluries”) insegnava: «È certo che la Madre di Dio poggia così in alto, che nulla vi può essere di più sublime; ma poiché tra la beatissima Vergine e Giuseppe fu stretto un nodo coniugale, non c’è dubbio che a quell’altissima dignità, per cui la Madre di Dio sovrasta di gran lunga tutte le creature, egli si avvicinò quanto mai nessun altro. Poiché il matrimonio è la massima società e amicizia, a cui di sua natura va unita la comunione dei beni, ne deriva che, se Dio ha dato come sposo Giuseppe alla Vergine, glielo ha dato non solo a compagno della vita, testimone della verginità e tutore dell’onestà, ma anche perché partecipasse, per mezzo del patto coniugale, all’eccelsa grandezza di lei».


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