«Non temere di prendere con te Maria, tua Sposa» (Mt 1,20)
È una seconda brevissima espressione che basta ad aprirci un nuovo varco nell’anima e nella
personalità di Giuseppe.
Con queste parole egli fu raggiunto dall’invito divino che lo esortava a celebrare le nozze con Maria e
ad accoglierla nella sua casa.
Il “timore” – lo sappiamo – è legato al fatto che Maria si presenta a lui col Dono di un Figlio,
sconvolgendo l’abituale dinamica dei doni familiari.
In un normale matrimonio l’uomo e la donna si scambiano anche fisicamente il dono della persona e,
divenendo una sola carne, la offrono a Dio perché faccia accadere la creazione del loro figlio.
Dio è il Creatore ed essi sono pro-creatori. Così, assecondando le divine leggi della natura, l’uomo
regala alla donna la maternità e la donna regala all’uomo la paternità.
Il Figlio che nasce è il testimone vivente di questo intreccio di doni, in cui Dio stesso è implicato.
Nei padri – che la natura lascia sempre un po’ al margine del lungo evento della gravidanza – c’è
sempre un sacro timore e quasi una riverenza verso la creatura che la donna porta in grembo per nove mesi, prima di metterla al mondo tra i dolori del parto. Ed ogni padre sa che, per essere genitore, basta
un breve impeto della natura, ma per diventare padri davvero, a volte, non basta tutta la vita.
Se il figlio di Maria gli fosse apparso come il frutto di un tradimento, Giuseppe avrebbe sofferto e si
sarebbe angustiato per i legami così duramente spezzati: niente lo avrebbe legato a quel figlio, segno
vivente della ferita che era stata inferta al suo amore.
In un impeto di generosità egli poteva forse immaginare qualche accadimento in grado di scusare,
almeno un po’, la sua donna e l’indesiderato frutto del suo grembo.E comunque sarebbe stata la donna a temere almeno il giudizio e le decisioni di lui.
Ma l’angelo parla del “timore” di Giuseppe, che era “uomo giusto”.
La giustizia di cui parla la Scrittura è data dal fatto che tra l’uomo e Dio s’instauri quel rapporto vero e
attento che Dio stesso desidera.
Giusto è Dio che mantiene sempre fede alle sue promesse di salvezza; giusto è l’uomo se asseconda
umilmente il disegno di Dio e occupa il posto che Egli gli assegna.
Ed ecco che su Maria si sono riversate – per bocca dell’Angelo – promesse infinite: quella sua Sposa
amata e amante è stata “riempita di grazia”, al di là di ogni immaginazione; è stata “adombrata dalla
Potenza dell’Altissimo”, ed in lei è accaduto un Divino Concepimento.
Qualsiasi cosa Giuseppe abbia potuto pensare dell’avvenimento che Maria gli ha certamente
raccontato (ripetendogli in tutta innocenza le stesse espressioni dell’angelo: “ciò che le stava
accadendo secondo la Sua Parola”!), una cosa era per lo meno evidente: quella fanciulla – incredibile
nella sua bellezza e nella sua immacolatezza – era stata scelta come il nuovo “Tempio di Dio”, più
perfetto, più santo e più glorioso di quello che Erode stava intanto costruendo a Gerusalemme!
L’Altissimo aveva fecondato la sposa di Giuseppe e l’aveva scelta come Madre del suo stesso Figlio
ed egli “temette” di profanare la gloria di Dio, che si rivelava sulla terra nel corpo stesso della sua
giovane Sposa.
Temendo – come già insegnava San Bernardo –“huius tanti miraculi novitatem, mysterii
profunditatem” (“la novità di un così grande miracolo e la profondità del mistero”!)...
Da un lato Giuseppe teme di profanare la Presenza di Dio, se continua ad occupare accanto a Maria
quel posto sponsale e paterno che Dio stesso sembra essersi riservato.
Dall’altro lato egli teme di profanare la sua sposa abbandonandola senza difesa alla curiosità
persecutoria del mondo.
La sua perplessità sta nel non vedere come poter conciliare due doveri così pressanti: quello di
allontanarsi da Maria per rispettarne l’infinito mistero che la ha colmata e quello di starle vicino per
proteggerla rivendicando il proprio ruolo sponsale.
E gli pare di poter forse conciliare le cose, ridando libertà alla sua vergine sposa, ma lasciandola
avvolta nel segreto, nel mistero.
La giustizia di Giuseppe è, in fondo, la sua totale delicatezza sia verso Dio che verso Maria.
L’Angelo conferma totalmente la percezione sacra e timorosa di Giuseppe: “Quello che è nato in lei è
opera dello Spirito Santo”, ma apre a lui uno spazio sostanziale e una missione: proprio perché Maria
gli appartiene, gli appartiene anche il Figlio donatole da Dio; proprio perché Maria diviene Madre,
egli riceve la vocazione ad essere Padre. Splendidamente, S. Agostino dice: «Lo Spirito Santo diede
un figlio ad entrambi!».
All’inizio del nuovo mondo, è il Figlio di Dio ad essere la causa di tutto: è lui a donare alla madre la
maternità e al padre la paternità.
E se Maria permette al Figlio di Dio di nascere dal di dentro della natura umana, Giuseppe (al quale
Maria appartiene) gli permette di nascere dal di dentro della storia sacra.
“Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo…”: è con queste parole che comincia il
Nuovo Testamento, radicandosi sull’Antico.
È una nuova creazione, un “nuovo principio”, ma le sue radici sono piantate in questa storia e in
questo mondo che Dio “ha amato tanto, da dare suo Figlio”.
Ed è proprio a “Giuseppe, Figlio di Davide” che l’Angelo si rivolge, per dirgli che proprio lui dovrà
“dare il nome” (Gesù: “Salvezza di Dio”) al Bambino concepito verginalmente.
Senza l’intervento dell’uomo di Maria, il Bambino non sarebbe stato il Figlio di Davide, e “nel censimento di tutta la terra” (letteralmente: “La descrizione del mondo intero”, che Cesare Augusto
stava per ordinare) il suo nome non sarebbe stato censito – con documento scritto e inviato a Roma –
proprio a Betlemme, la piccola città davidica destinata alla nascita del Messia.
(Testo integrale disponibile alla pagina
http://www.parrocchiapadergnone.it/images/Preghiere/Vite%20di%20Santi.pdf)
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