SAN GIUSEPPE NELLA VITA CRISTIANA E NEGLI INSEGNAMENTI DI SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ DE BALAGUER (seconda parte)

Lucas F. Mateo-Seco, Università di Navarra (* articolo pubblicato postumo)


2. Una precedente solida tradizione

Con la sobrietà nel parlare e con la precisione di linguaggio che lo caratterizzano, san Josemaría sa di essere inserito in una solida tradizione ecclesiale di teologia e di devozione al santo Patriarca. Il suo pensiero su san Giuseppe è ricco, solido e costante, e in esso affiorano, accanto all’iniziativa personale di una delicata pietà mossa dallo Spirito Santo, una splendida informazione delle questioni teologiche concernenti san Giuseppe, oltre alla consapevolezza di percorrere un terreno sicuro[10].

Come è ben noto, nel 1870 Pio IX, col Decreto Quemadmodum Deus (8-XII-1870), aveva dichiarato san Giuseppe Patrono della Chiesa Universale e il 15 agosto 1889 Leone XIII aveva pubblicato l’enciclica Quamquam pluries, dedicata al santo Patriarca. In questa enciclica, pervasa da un pensiero di grande vigore, sono raccolte le linee fondamentali della teologia di san Giuseppe proprio presentando le ragioni per le quali egli deve essere considerato Patrono della Chiesa Universale.

La prima ragione che il Papa menziona è che san Giuseppe è lo sposo di Santa Maria e, di conseguenza, è padre di Gesù, il quale è un bene — bonum prolis — di questo matrimonio. Nel testo del Pontefice, la verità del matrimonio tra Santa Maria e san Giuseppe è fuori da ogni dubbio e porta direttamente alla verità della paternità di san Giuseppe su Gesù. Le due realtà — matrimonio e paternità — costituiscono due caratteri essenziali della vocazione divina di san Giuseppe: egli è stato chiamato per adempiere questi due compiti voluti da Dio per sé stessi, per il loro stesso valore. In questa vocazione trovano la loro ragion d’essere anche le altre grazie ricevute da san Giuseppe; in essa si trova, dunque, la ragione ultima della «sua dignità, della sua santità e della sua gloria»[11].

Secondo l’impostazione data da Leone XIII, il matrimonio di san Giuseppe con la Vergine è la ragione ultima di tutto ciò che accompagna la figura di san Giuseppe, perché la verità e la perfezione di questo matrimonio «esigono» la partecipazione ai suoi beni e, in concreto, al bene della prole, anche se la prole è stata generata verginalmente. Il Papa chiama questo matrimonio «la società, il vincolo superiore a ogni altro, che per sua natura prevede la comunione di beni» e dice che san Giuseppe è stato dato alla Vergine non solo come «compagno della vita, testimone della verginità e tutore dell’onestà», ma anche come partecipe della sua «eccelsa grandezza». Egli è, dunque, «custode legittimo e naturale della Sacra Famiglia»[12].

Leone XIII segue in questo una linea di pensiero già espressa da sant’Ambrogio e da sant’Agostino, che trova in san Tommaso d’Aquino una delle sue formulazioni più perfette: tra Santa Maria e san Giuseppe vi fu un vero e perfetto matrimonio. Data la verginità perpetua di Santa Maria, alcuni scrittori dell’antichità ebbero qualche difficoltà nel considerare questa unione un autentico matrimonio[13]. Queste perplessità si dissiparono a favore dell’autenticità del matrimonio, fra le altre cause, per la decisa posizione assunta da sant’Ambrogio[14] e da sant’Agostino[15]. Questo non ha impedito che autori dell’importanza di san Bernardo (+1153) si siano dimostrati molto cauti nell’affermare che tra san Giuseppe e Santa Maria vi fu vero matrimonio o non lo abbiano valutato come elemento fondamentale nella teologia di san Giuseppe[16]. La posizione di san Tommaso d’Aquino (+1274) non dà luogo a dubbi: l’unione tra Giuseppe e Maria fu un vero e perfetto matrimonio, perché in esso avvenne l’unione sponsale tra i loro spiriti[17].

È bene non dimenticare che considerare l’unione tra Giuseppe e Maria come un vero matrimonio si adatta perfettamente al linguaggio del Nuovo Testamento, che non esita a chiamare Santa Maria la «donna» di Giuseppe: né si notano incertezze intorno alla verginità di Santa Maria anche in quei punti in cui viene chiamata sposa di Giuseppe (cfr., per es., Mt 1, 16-25), né si notano dubbi nel chiamare Giuseppe padre di Gesù o nel mostrarlo mentre opera come tale (cfr., per es., Lc 2, 21-49).

NOTE

[10] A parte i numerosi riferimenti a san Giuseppe che san Josemaría fa durante tutta la sua vita, esistono quattro lunghi testi dedicati a san Giuseppe con i quali è facile abbozzare una teologia del santo Patriarca quasi completa. Ecco, dunque, i testi: omelia “Nella bottega di Giuseppe”, 19-III-1963, in È Gesù che passa, nn. 39-56; La escuela de José, appunti della predicazione, 19-III-1958 (AGP, Biblioteca, P18, pp. 79-88); San José, nuestro Padre y Señor, appunti della predicazione, 19-III-1968 (AGP, Biblioteca, P09, pp. 93-103); De la familia de José, appunti della predicazione, 19-III-1971 (AGP, Biblioteca, P09, pp. 133-141). Da ora in poi, i tre ultimi saranno citati, rispettivamente, come La escuela de José, San José, nuestro Padre y Señor e De la familia de José.

[11] LEONE XIII, Lettera enciclica Quamquam pluries (15-VIII-1889), n. 3.

[12] «Poiché il matrimonio costituisce la società e il vincolo superiore a ogni altro, che per sua natura prevede la comunione dei beni dell’uno con l’altro, se Dio ha dato alla Vergine in sposo Giuseppe, glielo ha dato pure a compagno della vita, testimone della verginità, tutore dell’onestà, ma anche perché partecipasse, mercè il patto coniugale, all’eccelsa grandezza di lei» (ibid.).

[13] Cfr. G.M. BERTRAND, «Joseph (saint). II. Patristique et haut moyen âge», Dictionnaire de Spiritualité, VIII, Beauchesne, Paris 1974, 1304.

[14] «Nec te moveat quod frequenter Scriptura conjugem dicit: non enim virginitatis ereptio, sed conjugii testificatio, nuptiarum celebratio declaratur» (SANT’AMBROGIO, In Lucam, 2, 5: SC 45, p. 74).

[15] Sant’Agostino coglie le implicazioni di questa situazione provvidenziale nel concetto stesso di matrimonio quando lo propone come modello alle coppie di coniugi continenti, dicendo: «Questo matrimonio è tanto più reale quanto più è casto» (Sermo 51, 10, 13 e 16: PL 38, 342, 344-346, 348; BAC 95, 39-40). Le espressioni latine che sant’Agostino utilizza nel Sermo 51 sono di grande bellezza e chiarezza: «Quare pater? Quia tanto firmius pater, quanto castius pater [...]. Non ergo de semine Joseph Dominus, quamvis hoc putaretur: et tamen pietati et charitati Joseph natus est de Maria virgine filius, idemque Filius Dei».

[16] Cfr. SAN BERNARDO, Homilia Super missus est, II, 15: «Nec vir ergo matris, nec filii pater exstitit, quamvis certa... et necessaria dispensatione utrumque ad tempus appellatus sit et putatus» (in Opera, t. 4, ed. J. Leclerq et H. Rochais, Roma 1966, p. 33). Ciò che qui va messo in primo piano non è la verità del matrimonio, ma il fatto che san Giuseppe sia stato chiamato «vir» e «pater» temporalmente, ad tempus. La traduzione castigliana di Díez Ramos mette in evidenza la scarsa importanza che il matrimonio di Giuseppe e Maria riveste in questa omelia: «Né fu, dunque, l’uomo della madre né il padre del figlio, anche se, come si è detto, per un indispensabile motivo di operare e per una concessione di Dio, fu chiamato e reputato per un certo tempo l’uno e l’altro» (BAC 110, 203). La scarsa importanza data da san Bernardo al matrimonio tra la Vergine e san Giuseppe non gli impedisce di fare una calda descrizione della santità di Giuseppe, per esempio, paragonandolo a Giuseppe, figlio di Giacobbe: «Nello stesso tempo ricordati di quel grande patriarca, venduto in altri tempi in Egitto, e riconoscerai che questi non solo ha avuto il suo stesso nome, ma la sua castità, la sua innocenza e la sua grazia [...]. Quegli, rimanendo leale al suo signore, non volle acconsentire alle cattive proposte della sua signora (cfr. Gn 39, 12); questi, riconoscendo vergine la sua Signora, Madre del suo Signore, la rispettò con la massima fedeltà, conservandosi egli stesso in assoluta castità» (ibid., 16: BAC 110.204).

[17] «La forma del matrimonio consiste in una indivisibile unione delle anime per cui ogni coniuge in modo indivisibile si obbliga a restare fedele all’altro; il fine del matrimonio consiste nel generare ed educare la prole: al primo si arriva mediante l’atto coniugale; al secondo mediante l’opera del marito e della moglie con quelli che li aiutano ad allevare la prole [...]. In quanto alla prima perfezione, il matrimonio della Vergine Madre di Dio e di Giuseppe fu vero matrimonio, perché entrambi consentirono all’unione coniugale [...]. In quanto alla seconda perfezione, che avviene mediante l’atto matrimoniale, se esso si riferisce all’unione carnale con cui si genera la prole, quel matrimonio non fu consumato [...], ma quel matrimonio ebbe anche la seconda perfezione per ciò che si riferisce all’educazione della prole» (SAN TOMMASO, S. Th. III, q. 29, a. 2, in c.).

FONTE: San Giuseppe nella vita cristiana e negli insegnamenti di san Josemaría - Romana - Opus Dei

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