(Movimento Lavoratori di Azione Cattolica)
Sappiamo bene che la speranza è un dono divino da chiedere nella preghiera, frutto dell'amore che il Signore è venuto a portarci con la sua presenza e la sua promessa. San Giuseppe è un padre che accoglie Maria senza alcuna condizione. La via spirituale che San Giuseppe ci mostra non è una via che spiega, ma è una via che accoglie. Nei nostri giorni, qui sulla terra tra di noi, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, nel mondo del lavoro, attraversiamo la porta per sentirci tutti pellegrini di speranza, che camminano perché la cercano, ma anche perché sono disposti a donarla.
Se vogliamo essere come Gesù dobbiamo farci porta dell’ovile, pur consapevoli che le pecore non sono “nostre”, ma ci sono affidate: siamo come apprendisti accanto al Pastore.
Giuseppe, “lascia andare” Maria da Elisabetta: quest’ultima, quando scopre il disegno di Dio, forse senza comprenderlo, lascia entrare Maria nella sua vita, diventa ovile, rifugio, per lei e per quel figlio non suo. Giuseppe è custode delle vite che Dio gli ha affidato, ma esse non gli appartengono, le custodisce con cura e in piena libertà, non le possiede: in questo senso è forse più vicino a noi di Maria, che fisicamente partorisce e allatta.
Giuseppe è disarmato, vuole farla fuggire, e ancor più disarmato si assume la responsabilità di custodire quelle vite, frapponendosi fra l’amore per lei e la morale del mondo. Di fronte allo sfruttamento del lavoro, all’odio razziale, al disprezzo del diverso, agli episodi di femminicidio, alla violenza della guerra, come Giuseppe siamo chiamati a mettere in campo la nostra vita, il nostro corpo disarmato. Come Giuseppe siamo chiamati a sperare nelle relazioni. La preghiera sugli sposi recita: fedeli a un solo amore. Per restare fedeli occorre fidarsi dell’altro, di noi stessi e dell’essere chiamati ad essere uno in Lui.
Nessun commento:
Posta un commento