SAN GIUSEPPE (di Antonio Maria Sicari, Ocd) - Quarta parte

«Maria custodiva tutti quegli avvenimenti, meditandoli nel suo cuore» (Lc 2,19).

E gli avvenimenti tendevano tutti a un'unica certezza: quel Figlio era nato per la salvezza di tutti. Così Maria e Giuseppe sapevano sì di appartenere interamente al Bambino, ma che il Bambino non apparteneva soltanto a loro.
Così, dopo quaranta giorni, “lo portarono al tempio per offrirlo al Signore”, secondo quanto la Legge mosaica prescriveva per tutti i primogeniti, intuendo in qualche modo l’unicità e l’universalità di quella offerta. Anche un vecchio profeta, intanto, saliva al Tempio mosso dallo Spirito Santo. Era carico di anni, di attesa e di certezza: giungeva sicuro di poter contemplare proprio con i suoi occhi “il conforto d’Israele”, perché Dio glielo aveva promesso. Per lui l’evangelista usa le stesse parole di lode usate già per Giuseppe, dicendo che “era giusto e timorato di Dio”. Così il Bambino dalle braccia di Maria e di Giuseppe passò a quelle di Simeone (come se lo adagiassero nelle vecchie braccia del mondo), ed egli lo proclamò “luce delle genti e salvezza del popolo”. Poi il vecchio profeta benedisse i due genitori, intravvedendo già, in quella giovane madre, tutto il dolore che l’avrebbe un giorno trafitta. Anche una vecchia profetessa sopraggiunse a lodare Dio e “parlava del Bambino a quanti aspettavano la Redenzione d’Israele” (Lc 2,38).
Così, nel cuore dei due sposi, si alternavano sentimenti di gioia e intuizioni gloriose, misti a trepidazione e dolorosi presagi. I primi mesi, trascorsi in un’abitazione di Betlemme, ne furono intrisi. Fu certamente segno di gloria e di bellezza la stella che apparve a guidare un corteo regale che veniva dai paesi d’oriente – quasi concretizzando le antiche profezie che vedevano Betlemme “inondata della ricchezza di tutti i popoli”, e fu certamente angoscia mortale il contemporaneo annuncio che Erode aveva decretato la morte del bambino e di tutti i suoi coetanei. “Alzati, prendi con te il bambino e sua Madre e fuggi in Egitto”, gli dice l’angelo “non appena partono i magi” (Mt 2,13-15). Così Giuseppe si trovò a dover rivivere, con quel Bambino e per quel Bambino, l’antica storia del popolo: mentre la terra si riempie di pianto (il Vangelo evoca il lamento di Rachele che piange, inconsolabile, i suoi figli uccisi, ma evoca anche l’uccisione dei primogeniti degli ebrei decretata dal faraone), la Sacra Famiglia deve rifare prima l’esperienza dell’esilio in Egitto e poi quella del ritorno, attraversando il deserto. Alla sua paternità è affidata la custodia e la difesa del Bimbo, ma nulla di quel potere e di quella forza che un Discendente di Davide avrebbe potuto aspettarsi dopo le solenni promesse dell’angelo.


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